Due voci su uno degli eventi che in questi giorni ha scosso la scena politico/sociale italiana, la morte di Totò Riina.
Il Presidente Alessandro Bigi e il Vice Alessandro Ghiretti condividono le loro riflessioni dopo l’evento di giovedì notte:
26 ergastoli scontati. Quando si pensa alla mafia, non si può che pensare a Salvatore Riina, Totò. Capo indiscusso di cosa nostra dall’82 al ’93, introdotto negli ambienti mafiosi da Liggio.
Per anni ha insanguinato l’Italia. Con lui scoppia la “seconda guerra di mafia”, la Sicilia è martoriata. Con lui l’Italia intera è stordita dagli spari e dilaniata dal tritolo di Falcone, Borsellino, Chinnici, Cassarà, Mattarella, Dalla Chiesa, Giuliano, La Torre. La mano della belva c’è sempre.
Stringe rapporti con ‘ndrangheta e camorra, lo Stato deve chinare il capo davanti a lui. Il suo nome arrivava dappertutto, fin sul letto di morte è stato ritenuto capace di dare ordini, bastava un cenno ben assestato e già i nemici erano condanati.
La belva, ora, è morta. Difficile essere mossi a pietà da tanta ferocia; poche le lacrime versate per lui, tante le grida di giubilo per chi non merita pietà. E quando lo Stato ha voluto alzar la testa, nulla si è scontato al capo dei capi. Solo alla fine il Ministro della Giustizia ha abbassato la testa permettendo ai familiari di stargli vicino in punto di morte.
Questo distingue uno Stato civile da un’organizzazione mafiosa.
Lo Stato ha vinto la battaglia, forse.
–Alessandro Bigi
La morte di Riina spegne anche le polemiche sulle ultime vicende relative alla sua possibile scarcerazione.
Dopo lo scalpore suscitato dalla decisione della Cassazione del 5 giugno scorso, l’annullamento con rinvio dell’ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Bologna del maggio precedente, che rigettava l’istanza di sospensione della pena o di arresti domiciliari, lo stesso tribunale aveva ribadito un mese dopo il rifiuto, integrando la motivazione. Nuovo rifiuto ampiamente ricorribile, s’intende; per questo la morte del boss toglie definitivamente le castagne dal fuoco e rimanda a data da destinarsi il dibattito sul “diritto a morire dignitosamente” delineato dalla Suprema Corte.
Nessuna pietà per la Bestia, fuor d’ogni dubbio. Ma l’ondata di indignazione che ha attraversato il Paese dopo la pronuncia di giugno deve far riflettere. Si trattava di un annullamento con rinvio, in fondo; una richiesta di chiarimenti più che un invito ad accogliere quell’istanza controversa. Sì che le falle nella motivazione erano evidenti… ma è facile leggere tra le righe di una ricostruzione così superficiale: “Tanto è Riina, gettate la chiave”.
È bastato questo appunto della Cassazione per scatenare a furia cieca della gente.
Nessuna pietà per la Bestia, fuor d’ogni dubbio, e la conferma del tribunale di sorveglianza è un sollievo per tutti.
Però una sensazione amara ci rimane appicciata addosso: per un momento, il popolo in preda alla rabbia, ha millantato di fregarsene della legalità, nel nome di una “giustizia di pancia”.
Eppure è con la legalità che si sconfigge la mafia, una legalità pura, non contingente, non ad personam. «Bisogna rispettare le leggi. Lo Stato non è la mafia e non si vendica» diceva il magistrato Sabella quest’estate. Anche gioendo per la dipartita di Totò, sarebbe auspicabile che tutti lo tenessimo a mente.
–Alessandro Ghiretti