//Carceri e Pandemia (parte 2)

Carceri e Pandemia (parte 2)

Dopo aver affrontato il tema del trattamento sanitario nelle carceri e la particolare esperienza teatrale del carcere di Volterra, prima e durante la pandemia, il Professor Basile ringrazia Armando Punzo ed introduce, facendo riferimento alla contestata misura sull’articolo 47 ter dell’ordinamento penitenziario e all’articolo 41bis, la dottoressa Verdolini.

Sovraffollamento: normative d’urgenza durante la pandemia e dibattito pubblico – dottoressa Verdolini e procuratore Dolci

La dottoressa Verdolini, responsabile della associazione Antigone per la Lombardia. Inizia spiegando quale era il quadro del penitenziario nel momento in cui scoppia la pandemia. I dati a febbraio del 2020 raccontano di 61.230 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 50.931 posti, circa 10.000 presenze in più, con una particolare corrispondenza tra sovra-affollamento ed emergenza sanitaria per zone Lombardia ed Emilia Romagna. Un altro aspetto è quello anagrafico: rispetto alla popolazione ristretta, negli ultimi 15 anni si è visto un aumento significativo delle persone sopra i 60 anni, passanti da 1786 detenuti tra i 60 e 69 anni, ad oltre 4000 detenuti nell’anno 2019 ed a 350 ultrasettantenne ad oltre 900 nel 2019. Questi dati raccontano di un carcere sovraffollato, con numeri che avevano completamente vanificato le misure che erano state adottate a seguito della sentenza Torreggiani del 2013; raccontano un carcere vecchio ed un “invecchiamento della popolazione penitenziaria” legata a persone con pene lunghe. Quindi un carcere che arrivava alla pandemia con una situazione già piena di conflittualità.
Quando si parla di sovraffollamento parliamo in concreto di strutture che superano le soglie del 150% rispetto alla capienza prevista e che prevedono la presenza del cosiddetto terzo letto, una branda estraibile che occupa quasi per intero lo spazio della cella che di solito è pensato per due persone. Questo fa capire perché la preoccupazione dei detenuti è poi sfociata in rivolte violente e perché la sanità penitenziaria sia così fragile; altri motivi sono: il carcere è di per se un fattore fragile dal punto di vista delle patologie, i detenuti tendono ad ammalarsi proprio in varie forme dal punto di vista fisico e psichico e la detenzione ha degli effetti sulla salute delle persone ristrette. Lo spazio penitenziale e la difficoltà di reperimento dei dispositivi di protezione individuale hanno fatto si che la deflazione fosse il primo intervento di buon senso per ridurre la gravità e la possibilità di un contagio diffuso. Deflazione che ha avuto i suoi effetti ed alla quale si sono aggiunti una serie di misure come i differimenti di pena o l’adozione con decreto “Cura Italia” della possibilità di accesso alla detenzione domiciliare fino ai 18 mesi. Le persone che sono rientrate nelle scarcerazioni contestate al 14 Maggio 2020 sono state 195 persone rientrano nella presenza della detenzione domiciliare ordinaria, sono 5 le persone domiciliate ex legge 199 del 2010, oltre 250 erano scarcerazioni o meglio revisione della misura cautelare di persone attese giudizio, 35 affidamenti prova al servizio sociale, 6 misure domiciliari ex “Cura Italia” e 4 per il regime di scarcerazione al 41 bis. Grazie a questa serie di interventi si è riusciti a scendere ad un numero di persone ristrette di circa 53 mila individui.

La propaganda perpetrata dai media sulle scarcerazioni facili a migliaia è quindi in realtà stata attuata solo ad un numero molto circoscritto di persone, fa notare il Professor Basile. Rispetto ai quattro detenuti al 41 bis, che rappresentano il cuore del dibattito è interessante sapere il pensiero del procuratore aggiunto di Milano, della Procura della Curia di Milano, dottoressa Dolci, che prende la parola.
Effettivamente i soggetti detenuti che hanno beneficiato della differimento pena nella forma della detenzione domiciliare durante la prima fase del lockdown sono stati complessivamente 8, due nei quali al 41 bis; uno di questi, oggi scarcerato perché ha finito di espiare la pena, ha destato scalpore e richiese l’intervento del legislatore; i temi in gioco sono molto delicati perché innanzitutto riguardano il tema 147 codice penale; si nota subito la difficoltà di bilanciare tra l’eseguire o meno una pena restrittiva della libertà personale contro chi si trova in condizioni di grave infermità fisica rispetto al sussistere del concreto pericolo della commissione di delitti (diritto alla salute ed esigenze di tutela della collettività).
La Corte di Cassazione, in tema di differimento facoltativo dell’esecuzione della pena, pur richiedendo una incompatibilità tra la patologia da cui è affetto il condannato ed il suo stato di detenzione carceraria, postula che l’infermità o la malattia debbano essere tali da comportare un serio pericolo di vita o da non poter assicurare adeguate cure mediche nell’ambito carcerario. Riguardo gli 8 casi di concessione del differimento pena, la motivazione per il magistrato di sorveglianza conferma che i detenuti erano affetti da gravi o gravissime patologie tali da non comportare ovviamente una assoluta incompatibilità con il regime carcerario, ma che oggettivamente potevano mettere a rischio la loro salute quantomeno nel primo periodo della pandemia. La Corte Costituzionale nella sentenza 253/2019, intervenuta a seguito della sentenza “Viola contro Italia” della Corte di Strasburgo, ha ricordato che la presunzione relativa di pericolosità non può essere superata soltanto con la regolare condotta carceraria e la partecipazione del detenuto al percorso educativo, ma deve esserci da parte della sua difesa una allegazione di elementi fattuali concreti che possano far desumere la cessazione dei legami con la criminalità organizzata di stampo mafioso di cui il detenuto ha fatto parte. Ancora la Corte Costituzionale ricorda che la partecipazione ad un’associazione di stampo mafioso implica un’adesione stabile ad un sodalizio criminoso: i detenuti sono al 41bis poiché si ritiene che siano attuali i collegamenti con la criminalità di stampo mafioso.
Oggetto di dibattito fu una circolare del DAP (dipartimento amministrazione penitenziaria) che invitava il direttore degli istituti penitenziari a segnalare alla autorità giudiziari i detenuti che erano portatori di particolari patologie esposti a maggiori rischi; la contestazione che fu mossa a questa circolare fu quella che non si era operata una distinzione tra le varie fasce di pericolosità dei detenuti in particolare non era stata fatta una distinzione rispetto ai detenuti al 41bis. Interviene allora il legislatore; in prima battuta con il decreto legge numero 28 del 2020 col quale disponeva di acquisire il parere obbligatorio del procuratore antimafia e del procuratore distrettuale; il tema riguardava ovviamente provvedimenti di concessione del differimento pena emessi dopo l’entrata in vigore del decreto legge.
A distanza di 10 giorni, il legislatore è di nuovo intervenuto con un nuovo decreto legge a modifica del 41ter e con il decreto legge numero 29 del 2020, che contiene disposizioni che sono applicabili anche per le misure della detenzione domiciliare disposte dopo lo scoppio della pandemia; inoltre l’articolo due del decreto disponeva che il magistrato del tribunale di sorveglianza, che avesse ammesso la detenzione domiciliare o al differimento della pena connessi all’emergenza sanitaria per i condannati per gravi reati come quelli di cui all’articolo 41bis, dovesse valutare la permanenza dei motivi legati all’emergenza sanitaria entro il termine di 15 giorni dall’adozione del provvedimento e successivamente con cadenza mensile. Nel caso in cui magistrato sorveglianza abbia poi disposto la revoca del differimento della pena, il tribunale deve trasmettere immediatamente gli atti al tribunale di sorveglianza che nel termine perentorio di 30 giorni deve assumere una decisione definitiva, pena l’inefficacia del provvedimento di revoca. Queste norme sono state poi sussunte nella legge di conversione: legge 70 del 2020.

In conclusione, il professor Basile evidenzia come le esigenze che hanno visto luce durante la pandemia non sono più rinviabili. È inoltre del parere che il Ministro della Salute ed il Ministro della Giustizia dovrebbero prevedere istituti penitenziari nuovi, così da coordinare al meglio gli interessi di sicurezza e sanità. È necessario fare in modo che tutti gli ospedali e le strutture penitenziare si adeguino così da non lasciare spazi di inadeguatezza che potrebbero sfociare in casi dubbi come ad esempio la scarcerazione di una persona che non abbia serie patologie ed un altro che invece abbia bisogno di essere seguito adeguatamente ma rimane escluso dall’istituto; insomma il lavoro quotidiano deve essere quello di cercare di assicurare equità rispetto alla patologia grave.

Le nostre domande

In chiusura dell’articolo, così come dell’intervento, alleghiamo alcune delle domande più interessanti poste agli ospiti, che spaziano su diversi contenuti: l’efficacia del 41 bis e quanto l’appartenenza a una famiglia mafiosa possa ancora incidere nonostante questa misura; come è stata vissuta la sospensione dei processi che c’è stata subito dopo lo scoppio del Covid all’interno delle case circondariali; il futuro delle carceri italiane dopo il Recovery Plan e come questi fondi debbano essere sfruttati per migliorare le carceri; ed infine le attività parallele alla detenzione, come ad esempio attività ricreative o di formazione professionale che rivestono un’importanza centrale nel percorso rieducativo del detenuto e quindi se è stato possibile svolgere queste attività parallele alla detenzione o se sono state tenute online e quanto questo abbia avuto impatto diciamo nel percorso rieducativo del convento del detenuto.

Sulla famiglia mafiosa e il loro peso, il 41bis ha lo scopo di evitare che dal carcere e nel carcere entrino quelle che in gergo vengono chiamate le “ambasciate” cioè quelle che sono le direttive relative alla gestione delle questioni che attengono appunto alle organizzazioni mafiose; è un regime rigido la cui tenuta però è dubbia proprio perché abbiamo evidenze di entrata e di uscita di ambasciate, problema aggravato dalla presenza negli istituti di telefoni cellulari e di un vero e proprio mercato per il loro utilizzo.

Sul tema dell’edilizia carceraria, ventennale od anche trentennale, sarebbe auspicabile che parte dei fondi del Recovery Plan siano utilizzati a questo scopo, visti i dati citati dalla dottoressa Venturine e le condizioni di cui ha parlato la dottoressa Pirè.

Circa invece le attività parallele ed il loro proseguimento durante , risponde alle domande la dottoressa Verdolini, sottolineando come le misure adottate nella gestione interna del penitenziario per la prevenzione del Covid hanno riorganizzato gli spazi; ad esempio ora tutte le strutture hanno uno spazio iniziale che prima era uno spazio di accoglienza nuovi giunti per quelle persone che sostavano un paio di giorni e che adesso rappresenta lo spazio della quarantena, dedicato ad isolamento fino a 14 giorni con doppio tampone per i detenuti in ingresso e a cui si sommano, nel caso malaugurato di focolai degli spazi, le cosiddette bolle di contagio in cui vengono quarantenati coloro che sono stati a contatto con positivi. Un altro piccolo dato è riferito all’ultima volta che sono state costruiti nuovi spazi nel penitenziario: a ridosso della sentenza Torreggiani, nel 2014, l’edilizia penitenziaria ha visto la costruzione di nuovi padiglioni in Lombardia come ad esempio a Pavia e a Vigevano; il problema quindi secondo la dottoressa non è tanto quello della costruzione ma quello della qualità e della ristrutturazione delle strutture esistenti; ad esempio il carcere di San Vittore è da almeno una quindicina di anni che ha due sezione in costante ristrutturazione; nel carcere di Monza addirittura sono ancora  presenti le turche nei bagni. Il professore Basile interviene allora sottolineando come effettivamente il problema della qualità delle strutture è un dramma che riguarda tutto il sistema e che il tema del futuro è l’uso delle nuove tecnologie delle comunicazioni interno-esterno; al riguardo sollecita allora una riflessione del dottor Punzo, riguardo una ipotetica istituzionalizzazione di questo sistema e quali rischi l’uso di queste tecnologie possa rappresentare per futuro; rischi come il disumanizzare il rapporto con l’esterno e tra i ristretti o tra gli operatori, seppur i vantaggi dal punto di vista pratico delle tecnologie stesse. Attraverso l’utilizzo di queste tecnologie, o delle stesse pratiche con le quali si è permesso il proseguimento delle attività di teatro di Volterra, si spera di poter mettere in atto un’evoluzione all’interno del carcere per molte altre attività.

Il dottor Punzo sottolinea come le difficoltà vadano affrontate e vadano risolte con soluzioni per il meglio in situazioni di difficoltà.

di Francesco Musumeci e Vincenzo Carraturo