//Le Mafie e la Religione

Le Mafie e la Religione

Vittime e carnefici pregano un Dio diverso” disse il magistrato Scarpinato: boss e affiliati si rivolgono a Dio strumentalizzandone la figura e in suo nome commettono peccati.

Dall’iniziazione (che non a caso è il “battesimo”) al funerale, gli affiliati conciliano omicidi con preghiere e messe. Eccezion fatta per Matteo Messina Denaro, apertamente ateo, non ci sono mafiosi che vivono la loro religiosità in maniera intima: anzi, attraverso l’ostentazione della fede, i clan mafiosi si assicurano un maggior consenso popolare. I boss si battezzano, si sposano in Chiesa, fanno ricevere ai propri figli tutti i sacramenti previsti, richiedono il funerale religioso, elargiscono offerte in parrocchia e si propongono per organizzare le processioni in occasione delle feste patronali.

L’appoggio alla Chiesa è prettamente strumentale e consente ai boss di presentarsi per poi essere “accreditati” presso la comunità sociale: del resto, risulterebbe difficile considerarli delinquenti se i boss vengono scelti come organizzatori di processioni o se portano i Santi e la Madonna sulle spalle. Nella ‘ndrangheta è tradizione che, in occasione delle processioni, i nuovi affiliati portino sulle spalle la figura del Santo, così da presentarsi alla società, mentre gli affiliati più anziani, a seguire, portino sulle spalle la statua della Madonna. A Catania, per la festa di Sant’Agata, è stato proprio il nipote del boss Santapaola ad organizzare la processione. Le feste patronali rappresentano un’occasione eccellente per ostentare la potenza e la solidità dei clan locali: a Castellammare di Stabia, ad esempio, le statue dei Santi in processione vengono fatte sostare e inchinare di fronte alla casa del boss in segno di rispetto.

È evidente, quindi, che gli uomini d’onore reinterpretano in chiave utilitaristica il messaggio cristiano secondo il proprio fine. Sono diverse le vie attraverso cui gli affiliati esprimono la loro appartenenza al Cattolicesimo: alcuni pregano per superstizione prima di compiere un omicidio, altri si limitano a partecipare alla messa domenicale, altri ancora studiano la Bibbia. Rosari al collo e tatuaggi raffiguranti icone religiose sono uno dei tanti modi per esibire la religiosità degli affiliati. Talvolta la religione si inserisce nel contesto lavorativo: a Scampia, ad esempio, i camorristi tagliano 33 panetti di hashish per volta, si fermano per 33 minuti e, dopo il segno della croce, riprendono a lavorare.

Forse la religiosità proclamata dai mafiosi ha in realtà una funzione pratica: controllare i sensi di colpa per i crimini commessi. Attraverso il segno della croce prima di “scannare” una persona, gli affiliati si auto-assolvono e questo permette loro di eseguire gli ordini ricevuti in assoluta pace con Dio, senza rimorsi e crisi di coscienza. Il controllo dei sensi di colpa porta al convincimento dei mafiosi che Dio sia dalla loro parte e comprenda la logica perversa delle proprie azioni.

LA POSIZIONE DELLA CHIESA CATTOLICA

Sin dalla nascita delle mafie, la Chiesa non si è mai espressa pubblicamente riguardo a questo fenomeno criminale. Ilprimo Papa ad assumere una posizione netta contro le mafie fu Giovanni Paolo II nel 1993 e 20 anni dopo un uomo di chiesa, Don Puglisi, verrà dichiarato beato per aver contrastato la mafia rimanendone vittima. Solo nel 2010 la CEI dichiara apertamente l’avversione della Chiesa alla mafia, definendola come “la configurazione più drammatica del male e del peccato”.

IL PRETE CHE COMBATTEVA LA MAFIA CON IL SORRISO

Accanto a preti e uomini di Chiesa che talvolta piegano la testa alle mafie per paura o per interesse, ce ne sono altri che hanno fatto del coraggio la propria arma. Tra le figure più emblematiche nella lotta alla mafia, si ricorda Don Pino Puglisi. La sua missione si svolse nel quartiere Brancaccio di Palermo, teatro di guerre mafiose, dove Don Puglisi riuscì a sottrare decine di ragazzi alla criminalità organizzata, spiegando loro la reale natura delle organizzazioni mafiose e dei pericoli ad esse associati. Don Puglisi prestò particolare attenzione al recupero di adolescenti già inseriti nella mafia e, coniugando la fede e la cultura della legalità, riuscì ad incidere positivamente nella vita di molti ragazzi. Il parroco viene ricordato per essere stato un educatore instancabile dei giovani, apertamente contrario alla mafia, da cui fu ucciso il giorno del suo cinquantaseiesimo compleanno in un agguato.

Articolo di Eugenia Carretta