//Saviano e la zona grigia

Saviano e la zona grigia

Lo scrittore di Gomorra, per la prima volta nel nostro ateneo, racconta quella zona tra l’illegale e il legale dal confine troppo labile, di Camilla Sacca

“L’economia criminale è come un elastico. La devi tendere il più possibile verso l’infrazione cercando di rimanerne ai margini. Se però si spezza, allora puoi essere individuato”.

È con questa metafora che Roberto Saviano apre l’evento Bocconi in suo onore lo scorso 3 aprile.
Lo conosciamo come l’uomo della Camorra, come colui che ha deciso di raccontare la verità facendo nomi e cognomi. Una verità cruda, sgradevole da ascoltare, ma proprio per questo così urgente e necessaria.
Una verità che non si mostra per quella che è, ma si nasconde nella cosiddetta “zona grigia”, dove non si trova chi spara ma neanche chi ha il privilegio di essere onesto. Si trovano le banche europee che riciclano il 90% dei profitti del narcotraffico sudamericano, si trova Londra come piattaforma di money laundry più potente al mondo, con prezzi più convenienti di Panama e la Brexit pronta a screditare le minacce di una legge europea contro il trasporto di capitali.  Nella zona grigia le differenze tra capitalismo criminale e legale si assottigliano e si confondo, tanto che non è più possibile distinguere l’uno e l’altro senza uno studio attento, preciso, minuzioso.
Roberto ci invita all’approfondimento di ogni dinamica, unico mezzo con il quale oggi è possibile capire la realtà. La distinzione tra bianco nero, lo studio superficiale ed affrettato, non fanno altro che lasciarci pattinare sulla verità, convincendoci che se l’elastico resta teso allora non rischia di rompersi.
Il pericolo della superficialità e la reticenza a sporcarci le mani sono attualissime in tutti gli aspetti della società moderna, sono alla base di tutte le dinamiche populiste che oggi hanno così presa mediatica. I governi democratici vengono ritenuti colpevoli della crisi, del ribaltamento delle nostre vite. Non ci importa più quali ideali vengono esaltati nei programmi elettorali, ci importa dei risultati, vogliamo sentirci tutelati senza necessità di indagare come. Basta la più piccola contraddizione a far cadere l’immagine di chi si propone come retto e onesto, mentre queste nuove figure politiche non devono dimostrare coerenza a nessuno, e questo li fa più forti.

Nelle realtà mafiose queste dinamiche sono più attuali che mai. La delegittimazione di chi ha il coraggio di mettere in dubbio le cose e provare ad andare più a fondo è una delle armi principali della criminalità organizzata. Saviano questo lo sa bene, e ricorda come anche personaggi del calibro di Falcone siano stati screditati e distrutti mediaticamente prima che la morte li portasse ad essere dichiarati eroi nazionali. Ed è qui che ritorna il grigio che noi non vogliamo vedere, perché in fondo sappiamo di farne parte. Pensare che un personaggio è stato ucciso perché aveva delle colpe ci dà quasi sollievo, ci fa sentire giustificati per la nostra inattività.  Roberto vuole aprirci gli occhi sul fatto che bianco e nero non esistono. Tutti abbiamo delle contraddizioni e delle debolezze, ma queste non devono importare nella lotta comune contro i mondi criminali. Non dobbiamo cullarci nell’illusione che solo gli incorruttibili abbiano il diritto di reclamare qualcosa.

Riprendendo la frase di Alvaro per cui “La disperazione più grave che possa impadronirsi d’una società è il dubbio che vivere rettamente sia inutile”, lo scrittore casertano ci esorta a non lasciare che questo dubbio si insinui in noi. Occorre che capiamo come muoverci nella zona grigia e troviamo gli strumenti per far spezzare l’elastico.

Lo strumento di Saviano è sempre stato la sua penna, ed è proprio su questa che abbiamo incentrato le nostre domande. Interrogato sull’evoluzione che la sua scrittura sembra aver subito ultimamente, passando dal romanzo-inchiesta di “Gomorra” al racconto più fiction de “La paranza dei bambini”, ci dice che sono modi diversi di arrivare allo stesso obiettivo di denuncia. Fare nomi e cognomi veri lascia un impatto sul lettore, ma impedisce a chi scrive di entrare dentro al personaggio e ai suoi pensieri. Scegliendo un percorso letterario e più romanzato diventa invece possibile raccontare la vita e le emozioni dei protagonisti, facendo entrare chi legge in mondi che inizia a percepire come propri. Provocato su come l’entrata in questi mondi possa generare il rischio di emulazione, ci chiede ironicamente perché non siamo tutti Don Matteo. È vero che il racconto delle dinamiche mafiose, che sia attraverso un libro, una serie o un video musicale, divulga dei codici comportamentali nei quali il mondo criminale si vede riconosciuto, ma sono solo quelli che già vogliono fare parte di queste realtà ad estrapolare ed imitare certe azioni al fine di segnalare le loro intenzioni.
Sollecitato su domande di maggiore attualità, come la legalizzazione delle droghe leggere, alla quale Borsellino si era sempre dichiarato contrario, il rapporto mafia-immigrazione e l’eliminazione della carta moneta, Roberto conferma le sue idee “rivoluzionarie”, sottolineando come i tempi siano cambiati rispetto agli anni ’80 e la regolamentazione del commercio di marjuana toglierebbe un importante componente ai mercati clandestini, come gli immigrati abbiano una storia personale che li rende meno spaventati dalla mafia e più pronti a ribellarsi, divenendo dunque una potenziale risorsa per cambiare il sud Italia, e come il venir meno della liquidità di grosso taglio sia fondamentale per il contrasto ai mercati in nero.
Ma per poter avere una visione chiara di queste tematiche, per formarci un’opinione valida sulle sfide attuali e future della lotta al crimine organizzato, rimane una costante: bisogna studiare, capire e approfondire tutto. Solo così, ci ricorda Saviano, saremo in grado di difenderci.

Lo salutiamo con i versi di Blaga Dimitrova: “Nessuna paura che mi calpestino, calpestata l’erba diventa un sentiero”. Oggi più che mai, cerchiamo di camminare sul sentiero di Roberto.