//Riutilizzo dei beni confiscati: un modello da esportare

Riutilizzo dei beni confiscati: un modello da esportare

In Italia i beni confiscati, immobili, aziende e terreni, rappresentano una risorsa di eccezionale importanza che permette allo Stato di colpire concretamente il patrimonio delle mafie.

di Roberta d’Amore

Oltre a togliere beni dalla disposizione dei clan – a partire dalla legge Rognoni – La Torre del 1982 – i beni confiscati hanno rappresentato una risorsa importante per la società civile. Infatti, gli immobili e le aziende interessate dalle confische sono spesso destinati a cooperative e organizzazioni di volontariato, che li riutilizzano per creare valore dove prima regnava la criminalità, portando opportunità lavorative e di sviluppo economico.

Nascita e gestione dei beni confiscati

La legge Rognoni – La Torre, alla cui redazione parteciparono anche i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, introdusse numerosi strumenti di prevenzione patrimoniale, strumenti essenziali per la lotta alla mafia, in quanto privano le organizzazioni criminali della loro l’arma più potente, il denaro, con cui i mafiosi riescono a corrompere gli apparati statali, ad ottenere appalti e a sfuggire alla giustizia.

Gli immobili sequestrati alla criminalità organizzata possono essere sia assegnati, a titolo gratuito, a enti, organizzazioni o associazioni per finalità sociali, oppure possono rimanere nelle disponibilità dello Stato che ne dispone per finalità di giustizia, ordine pubblico e protezione civile.

Dal 2010, la gestione dei beni confiscati è di responsabilità dell’Agenzia Nazionale per l’Amministrazione e la Destinazione dei Beni Sequestrati e Confiscati alla Criminalità Organizzata (ANBSC), che ha anche il compito di monitorare l’utilizzo dei beni già destinati, per assicurare che questi siano effettivamente restituiti alla collettività.

Dal rapporto 2019 di ANBSC, si evince che i beni non ancora destinati che sono sotto la gestione dell’Agenzia, ammontavano – a fine 2019 – a 16.473, distribuiti su solo 1.231 comuni italiani. Più dell’83% di questi beni si trova in 6 regioni (Sicilia, Puglia, Calabria, Campania, Emilia Romagna e Lombardia) ed è significativo che più di un terzo (34%) dei beni si trovi in Sicilia.

I beni destinati ammontavano invece – a dicembre 2019 – a 17.226, di questi è positivo notare che ben 14.108 sono stati destinati a enti territoriali con perseguimento di finalità sociali.

Il ruolo del Terzo Settore

La società civile ha avuto, a partire dagli anni ’90, un ruolo chiave nella definizione delle leggi riguardanti l’utilizzo di questi beni. In particolare, l’associazione Libera contro le mafie ne ha sempre promosso l’importanza e ha collaborato attivamente con lo Stato italiano perché i beni confiscati fossero utilizzati in modo sempre più efficiente.

Libera promuove diverse iniziative, tra cui Confiscati Bene 2.0 che ha permesso la creazione di una piattaforma per la raccolta dei dati e per il monitoraggio dei beni confiscati destinati in Italia. Questi strumenti, e l’utilizzo di open data, consentono allo Stato e ai singoli cittadini di essere sempre aggiornati e allontanano la possibilità che le organizzazioni criminali si riapproprino dei beni a loro confiscati.

Il contesto internazionale

Libera è stata anche protagonista del processo di internazionalizzazione delle pratiche riguardanti i beni confiscati: nel 2019 l’associazione ha creato una rete chiamata CHANCE – Civil Hub Against orgaNized Crime in Europe – col compito di promuovere l’importanza della lotta alla criminalità organizzata in tutta Europa. La rete ha avviato nel 2021 un lavoro di mappatura dei beni confiscati in Belgio, Bulgaria, Romania e Spagna, dove si terranno anche summer school che elaborino un toolkit di monitoraggio che possa essere utilizzato in questi paesi e, successivamente, in tutta Europa.

L’Italia ha l’importante ruolo di leader in Europa grazie alle proprie conoscenze e i propri studi nell’ambito della criminalità organizzata. Il modello italiano è un esempio virtuoso ed è studiato in tutto il mondo, per questo l’ANBSC ha recentemente iniziato ad attivare collaborazioni con agenzie omologhe, come ad esempio l’AGRASC francese, per fare in modo che le buone pratiche italiane vengano adottate all’estero.

Un esempio virtuoso: KeBuono

Nel 2018 in Albania, a Fier, è nata KeBuono, una pasticceria sociale che ha preso il posto di un night club che apparteneva alla mafia albanese. La pasticceria, fondata da una ONG italiana, ENGIM Internazionale, grazie a fondi europei, organizza corsi di pasticceria per giovani e donne e ospita eventi e attività per tutta la comunità.
È la prima iniziativa di questo genere in Albania, un paese che ha deciso recentemente di intraprendere un avanzato percorso di riutilizzo pubblico e sociale dei beni confiscati unico in Europa.

L’esempio dell’Albania ci auguriamo che sia solo il primo passo per esportare le best practice di lotta alle mafie e alla corruzione in tutti i paesi dei Balcani, e in tutta Europa.

(Questo articolo è parte della colonna mensile “Sulle nostre gambe” della rivista universitaria Tra i Leonin collaborazione con la nostra associazione.)