Da Trento a Trapani, da Trapani alla Russia, al Libano, alla Turchia, agli Stati Uniti seguendo un filo sottile che collega una trama transnazionale che implicava turchi, siriani, palestinesi, servizi bulgari, informatori della Cia, P2 e mafia italiana: il giudice Palermo, con la sua inchiesta di Trento, scopre uno dei più grandi traffici di armi e di droga di tutti i tempi. La città di Trento costituisce il punto di congiunzione tra la mafia turca e quella siciliana. Ben presto le indagini, svolte in contemporanea con quelle del giudice Giovanni Falcone, portano all’individuazione di traffici occulti di armi e petrolio tra il nostro paese e la Libia e al collegamento tra i servizi segreti italiani, americani e orientali nella compravendita di armamenti.
Il 17 febbraio del 1985, su sua specifica richiesta, il giudice prende servizio presso la Procura della Repubblica di Trapani. Il 2 aprile di quell’anno, a pochi chilometri da Trapani, un attentato indirizzato al giudice Palermo, costò la vita a una giovane donna Barbara Asta, e ai suoi due gemellini, Giuseppe e Salvatore, di sei anni. Il giudice rimase miracolosamente illeso.
L’autobomba che colpì l’auto di Barbara Asta fece da scudo, proteggendo di fatto la vettura del giudice. Dell’auto e tantomeno dei corpi non è rimasto quasi nulla, se non qualche traccia di sangue su un muro, dei piccoli brandelli e una scarpa di uno dei due bambini, talmente poco che lo stesso marito di Barbara, Nunzio, tra i primi soccorritori del giudice rimasto ferito, non si accorse di nulla di quando accaduto ai suoi cari e solo qualche ora dopo venne informato dalla polizia.
Negli anni successivi, le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia (Francesco Di Carlo, Pietro Scavuzzo, Giovan Battista Ferrante e Giovanni Brusca), portano alla condanna all’ergastolo, Totò Riina, Balduccio Di Maggio, Vincenzo Virga e Nino Madonia per la strage di Pizzolungo.