//Crimine in Messico: un’analisi empirica

Crimine in Messico: un’analisi empirica

Qual è il miglior mezzo per combattere la criminalità? Numerose discipline hanno formulato teorie a questo proposito, dalla psicologia alla sociologia, dalla giurisprudenza alla neonata scienza della criminologia. Anche gli economisti, da tempo, discutono intorno a questa tematica. Partendo dal modello del criminale razionale ideato dal premio Nobel Gary Becker, si è aperto un lungo filone di discussione su quali siano i principali fattori che spingono l’individuo ad infrangere la legge, confronto nel quale le diverse teorie vengono sempre supportate da evidenza empirica. Dalla letteratura economica emergono due correnti principali: una che focalizza l’attenzione sulle variabili legate alla punizione attesa dall’individuo in procinto di commettere un crimine, ovvero probabilità di arresto e condanna e severità della pena prevista, considerandole le migliori misure di deterrenza adottabili dalle autorità pubbliche; l’altra invece più attenta a fattori socioeconomici come l’educazione ricevuta, le opportunità sul mercato del lavoro, la disuguaglianza e le caratteristiche del territorio dove l’individuo vive, che influenzano la scelta in modo più indiretto, ma non necessariamente meno efficace.
Ho cercato dunque di sfruttare alcuni degli insegnamenti appresi dallo studio delle precedenti analisi per svolgere una piccola regressione. In particolare, ho guardato a come è cambiato il numero delle aggressioni in Messico dal 2002 al 2009, ovvero prima e dopo la salita al governo del presidente Felipe Calderón. La presa di potere di Calderón rappresenta infatti un momento importate per quanto riguarda la criminalità messicana, poiché segnò l’inizio della cosiddetta “guerra della droga”, scoppiata in seguito alle aggressive politiche di arresto adottate dal Presidente al fine di combattere i narcotrafficanti del paese. Nel corso del governo di Calderón, tuttavia, con il numero di arresti aumentarono vertiginosamente anche gli omicidi compiuti sul territorio messicano. Partendo da questa apparente relazione positiva tra incremento della punizione attesa e numero di omicidi compiuti, regrediremo dati individuali sulla vittimizzazione raccolti dal progetto “Mexican Family Life Survey” su una dummy che assume valore unitario nel caso di presenza di Calderón al governo e su altre variabili rappresentanti l’educazione, la ricchezza, il reddito da lavoro e la situazione di credito e debito degli individui intervistati (i dati provengono sempre dal database di MxFLS). Unendo i dati individuali sulla proprietà a livello di stati federali, ho cercato di capire quali fattori influenzano maggiormente il numero di aggressioni in un dato territorio e in che modo.
In primo luogo, ho supportato l’idea secondo cui non sempre una punizione attesa più dura ha un effetto negativo sul numero di crimini commessi: questo è dimostrato dal coefficiente positivo e statisticamente significativo della variabile Regime, che indica chiaramente come la presenza di Calderón al governo, che abbiamo visto essere caratterizzata da ingenti investimenti nel “law enforcement”, abbia avuto un impatto positivo sul numero di aggressioni verificatesi nei diversi stati. Questo risultato è alla base della mia intera analisi, indicando come nella pratica la teoria della deterrenza non sia sempre efficace e si renda dunque necessario l’utilizzo di altri mezzi, nel campo dell’economia, al fine di affrontare e regolare il problema della criminalità. Nonostante non tutte le nostre previsioni siano state confermate dai risultati ottenuti, tenendo anche in considerazione che alcuni coefficienti potrebbero risultare non significativi per mancanza di sufficienti osservazioni in merito, quasi tutte le variabili da me inserite nella regressione sono risultate significative e tendenzialmente in linea con le ipotesi fatte. L’aggregazione a livello statale mi ha permesso di identificare quali sono gli indicatori importanti nella definizione dell’ambiente di riferimento, riprendendo tutti gli studi che si sono concentrati sui fattori socio-economici come maggiori cause della criminalità. La mia analisi conferma che la ricchezza del territorio è rilevante nello stabilire gli incentivi ad infrangere la legge e una maggiore disuguaglianza, sia a livello di istruzione che di reddito, provoca maggiore esposizione alla criminalità per gli individui in condizioni più “agiate”. Buone politiche di lotta alla criminalità dovrebbero pertanto prevedere progetti di crescita economica per gli stati federali più poveri, di modo da alzare i ritorni delle attività legali e creare disincentivo all’infrazione della legge. Gli effetti della disuguaglianza a livello di istruzione e reddito dovrebbero inoltre essere campanelli d’allarme per adottare programmi che incrementino le possibilità di accesso a più alti gradi di istruzione, di modo da diminuire anche le differenze di guadagno nel lavoro. I coefficienti delle variabili relative ai debiti, quasi tutti positivi, indicano, oltre alla già citata necessità di sviluppo economico, dal momento che le aree con maggiore richiesta di prestiti corrispondo a quelle più povere, anche un maggiore controllo da parte delle istituzioni di credito ufficiali sui prestiti concessi. I segni presi dai nostri indicatori, infatti, ci inducono a pensare che gran parte del mercato dei finanziamenti sia controllata da organizzazioni criminali che spesso e volentieri ricorrono a mezzi violenti per l’estorsione di alti interessi, incrementando così i casi di aggressione.
La dislocazione geografica delle aree colpite dalla criminalità è infine un’altra dimostrazione degli effetti negativi causati dalle politiche calderoniane, che hanno provocato esternalità negative in altre aree piuttosto che diminuito il numero assoluto di infrazioni. Il risultato fondamentale di questo studio, dunque, tenendo conto della semplicità della regressione effettuata e della povertà di informazioni a mia disposizione rispetto alla complessità dell’argomento di analisi, è che le critiche rivolte alla teoria della deterrenza hanno fondamenti nella realtà, e pertanto è necessario continuare a effettuare studi che indaghino fattori alternativi alla spiegazione e soprattutto alla determinazione degli incentivi alla commissione di crimini.