Il 7 agosto del 2019 è stato ucciso Fabrizio Piscitelli, esponente importante della mala romana, nonché capo di un gruppo ultrà biancoceleste. Le indagini successive hanno reso più inquietante il suo ruolo all’interno della malavita e hanno portato all’applicazione del 416 bis ai suoi complici. Nonostante ciò, in altri ambienti viene ricordato diversamente: lo dimostrano certe presenze al funerale, manifesti esposti al centro di Roma e una campagna di beneficenza che usa la sua immagine.
a cura della Redazione
A volte è facile perdersi tra le varie sfaccettature di una persona, ce lo insegna continuamente la vita. Di conseguenza un traditore può essere ritenuto una persona per bene. Oppure, come in un delicato caso apertosi poco più di un anno fa, di un delinquente con una lunga storia nella malavita viene a prevalere l’immagine di un tifoso esemplare o di un alleato politico. Altrimenti non si spiegherebbe come il narcotrafficante e boss della malavita romana Fabrizio Piscitelli sia finito su una maglia che lo ritrae davanti alla sua tifoseria preferita e che questa venga venduta per beneficenza. Nella notizia ripresa da L’Espresso questo fatto venne descritto come un tentativo di riabilitare la figura di “Diabolik”. Un personaggio che, se non fosse stato ucciso in stile mafioso ad agosto del 2019, sarebbe ora di nuovo in carcere, con l’accusa di essere a capo di un’associazione a delinquere di stampo mafioso.
Il 7 agosto del 2019 giungeva la notizia che Fabrizio Piscitelli, 53enne romano con vari precedenti, era stato ucciso in pieno giorno al parco degli Acquedotti, nella periferia sud est della capitale. Mentre era seduto su una panchina, un sicario vestito da runner gli sparava un solo colpo letale. Dato che Piscitelli era accompagnato solo dal suo autista, ma non della solita scorta, il killer non trovò resistenza. Riuscì a scappare tra il fuggi fuggi generale causato dall’agguato, in un momento in cui nel parco c’era, secondo alcuni testimoni, “mezzo quartiere”. Ad oggi non si è riusciti né ad arrestare il killer né ad individuare con certezza i mandanti dell’omicidio.
Nella vita normale, Piscitelli era residente alle porte di Roma ed era titolare di una piccola società che vendeva gadget collegati alla sua squadra del cuore: la S.S. Lazio, di cui comandava anche il gruppo ultrà più famoso. Questo gruppo erano gli “Irriducibili”, fondati nel 1987 proprio da lui, tra i quali era anche soprannominato “Diabolik”. Per gli investigatori giunti sul luogo del delitto, il punto di vista era un altro: si trovavano di fronte ad un malavitoso con una lunga storia di precedenti soprattutto per affari di droga, ritenuto un pezzo grosso della mala romana. Da subito si parla di vari nemici che potrebbero essere stati i mandanti dell’omicidio, nel timore di ulteriori atti di violenza perché era stato interrotto un lungo periodo senza omicidi eccellenti nella capitale. Date le particolarità dell’omicidio – un’esecuzione con un solo colpa alla nuca – viene presto scartata la pista che collegava il delitto all’ambiente ultrà. Piuttosto si ipotizza un conflitto legato ad affari criminali e un possibile debito per una fornitura di droga da parte di Piscitelli.
Un uomo da cui qualsiasi persona ragionevole preferirebbe stare piuttosto lontana, insomma. Mentre partivano le indagini della procura di Roma, iniziava anche la preparazione del funerale. Viste le circostanze della morte, si prevedeva inizialmente un funerale privato a cui avrebbero potuto accedere soltanto parenti stretti. Questi però si opposero. Di conseguenza, ciò che doveva essere privato divenne un luogo di pellegrinaggio non solo per i parenti e gli amici della curva laziale. Oltre a centinaia di ultrà biancocelesti, si radunarono vari capi ultrà da tutta Italia, accompagnati da membri delle loro tifoserie. Oltre alla passione per il calcio condividevano spesso anche un interesse politico, ovvero posizioni di estrema destra. All’interno dello spettro politico italiano Piscitelli era infatti collocato molto a destra: erano anche presenti diversi dirigenti di Forza Nuova, non solo di Roma. Sembrava che a loro importasse poco degli affari criminali di Diabolik, per i quali è stato condannato diverse volte.
Piscitelli appare per la prima volta nella cronaca giudiziaria nel 1992, quando viene inserito dalla procura di Napoli tra i membri di una associazione a delinquere transnazionale, in affari per stupefacenti con i clan della camorra risaliti nel basso Lazio. Già all’epoca si presumevano certi rapporti fra Piscitelli e il clan camorristico dei Senese, guidato da Michele “O’Pazz” Senese, dal 2014 condannato all’ergastolo. Il gruppo camorrista è tuttora presente nella capitale e ha un alto rilievo nella malavita romana. Solo a luglio 2020 una retata ha portato a 27 arresti e una confisca di beni per un valore complessivo pari a 15 milioni di euro. Al 1992 risale anche la prima condanna di Diabolik per traffico di droga. In questo periodo era il presunto capo di una “batteria” malavitosa con base a Ponte Milvio, non lontano dallo Stadio Olimpico. Nel 2013 viene di nuovo arrestato, questa volta accusato di essere a capo di un gruppo criminale che gestiva un traffico di droga internazionale dalla Spagna all’Italia. Durante l’operazione vengono sequestrati 500kg di hashish. Nel 2015 viene condannato a quattro anni e otto mesi in rito abbreviato per traffico di sostanze stupefacenti. Nel 2016 gli vengono sequestrati beni per un valore di 2,3 milioni di euro, tra cui auto, immobili di lusso e partecipazioni societarie. Torna libero a maggio del 2017 e lo resta fino alla morte.
Durante questi anni Piscitelli ha commesso vari reati, eppure è rimasto sempre a capo degli Irriducibili e ha intrattenuto relazioni politiche. Come se non bastasse, Piscitelli è entrato nella cronaca giudiziaria anche a causa del suo ruolo nel calcio: nel 2015 fu condannato in primo grado a tre anni e sei mesi per il tentativo di scalata alla Lazio contro Claudio Lotito, tuttora presidente, in cui partecipò anche la leggenda biancoceleste Giorgio Chinaglia. Altri eventi che hanno causato non solo indignazione, ma anche fatto partire indagini, sono diversi atti deprecabili avvenuti in curva. Nel 2000 venne esposto uno striscione per onorare Zeljko Raznatovic, noto anche come tigre Arkan, criminale di guerra serbo accusato di genocidio e crimini contro l’umanità. Nel 2017 invece furono trovati adesivi che ritraevano Anne Frank con la maglia dell’AS Roma, per cui finì indagato anche Franco Costantino, presunto luogotenente di Piscitelli in ambiente ultrà. Piscitelli invece non venne mai condannato per gli ultimi due eventi.
Le accuse più gravi nella storia criminale di Diabolik arrivano solo dopo la sua morte, a novembre del 2019, quando si svolge l’operazione “Grande Raccordo Criminale”, un riferimento al nome dell’autostrada circolare intorno alla capitale. Viene accusato di capeggiare un’organizzazione con un giro di affari da 120 milioni di euro insieme a Fabrizio Fabietti, un altro criminale con precedenti per droga. Secondo gli inquirenti, quest’ultimo avrebbe tra l’altro intrattenuto relazioni con importanti esponenti del clan di ‘ndrangheta Bellocco, con lo scopo finale di garantire un flusso costante di droga proveniente dal Sud America. Si parla di una quantità di droga acquistata e rivenduta in nove mesi ammontante a 250kg cocaina e 4250kg di hashish. A recuperare i crediti del gruppo criminale verso i clienti, pari addirittura a 50 milioni, ci pensava Piscitelli: ricorreva ad una batteria di picchiatori, di cui alcuni reclutati proprio nella sua curva nord. Ai 53 indagati per reati che includono estorsione, riciclaggio, usura, possesso d’armi oltre che droga, la pm Nadia Plastina ha contestato anche l’aggravante del 416 bis.
Perché è morto allora Fabrizio Piscitelli? Ci sono molte versioni, citando ad esempio questi crediti pari a 50 milioni ancora da riscuotere, ma anche vari altri motivi. Il sicario che ha freddato Piscitelli al Parco degli Acquedotti non è mai stato trovato, e non ci sono stati arresti relativi a possibili mandanti dell’omicidio. Ciò che invece sembra accertato sono, non solo le dimensioni crescenti del traffico di droga gestito da Diabolik nell’arco degli anni, ma anche una maggiore importanza generale di Piscitelli all’interno della malavita. Un’altra notizia giunta dopo la sua morte è il suo presunto ruolo di mediatore all’interno di una potenziale guerra ad Ostia, dove nel 2017 erano cambiati i rapporti di forza dopo gli arresti ai danni dei più importanti esponenti dei Clan Spada e Fasciani. Per evitare una guerra mafiosa che avrebbe coinvolto i Casamonica – nota famiglia di origini sinti – e gli Esposito di Ostia, Diabolik ha fatto da garante per confermare le intenzioni sincere dei Casamonica a risolvere il conflitto. Le dinamiche della vicenda sono emerse dopo gli arresti di Salvatore Casamonica (allora già in carcere, al 416bis) e un’avvocatessa di Roma. Di quest’ultima si pensa che sia stata usata come pedina nelle trattative, mentre Diabolik si sarebbe offerto come mediatore principalmente per accelerare la sua ascesa all’Olimpo della malavita romana. Questo fatto sarebbe anche stato cruciale per l’accusa secondo il 416 bis in seguito all’operazione Grande Raccordo Criminale.
Un’ipotesi già sentita varie volte durante le indagini è che questo salto di qualità – da trafficante di droga a collegamento fra vari gruppi criminali della capitale – abbia anche dato alla testa a Piscitelli. La procura ha giudicato l’esecuzione di Diabolik la dimostrazione di un «prestigio criminale» accresciuto e riconosciuto a Roma, che però l’avrebbe portato a sentirsi intoccabile. In un primo momento, l’assenza della solita scorta sul luogo dell’omicidio era stata spiegata con l’idea che Diabolik avrebbe dovuto vedersi con qualcuno di cui si fidava. Mentre l’ipotesi è tuttora plausibile, si potrebbe anche pensare ad una maggiore negligenza da parte del boss, dovuta al suo nuovo ruolo. Questa sua ascesa però potrebbe aver rotto qualche equilibrio raggiunto in precedenza. Anche per questo il procuratore capo Michele Prestipino ha giudicato il caso un omicidio strategico, utile al riassetto di alcuni equilibri criminali.
Adesso è già passato un anno, durante il quale molte nuove informazioni sono emerse su Fabrizio Piscitelli, utili a descriverne meglio il profilo criminale, rendendolo più preoccupante. A febbraio 2020 usciva la notizia che gli Irriducibili, dopo quasi 33 anni di esistenza, si sarebbero sciolti, sostenendo che la morte di Diabolik non ne fosse la causa. Comunque sia, Fabrizio Piscitelli viene ancora ben ricordato in certi ambienti, dove la sua storia criminale non viene considerata. A novembre 2019 un tentativo di creare un murales nella zona Tor Pignattara, che avrebbe ritratto proprio Piscitelli, fu scoperto e immediatamente denunciato, con successiva rimozione. Anche per l’anniversario della morte poco tempo fa furono affissati dei manifesti con la scritta “Diablo vive” vicino alla sede degli Irriducibili. E infine, da giugno esiste una pagina facebook creata dalla famiglia di Diabolik, che oltre a ricordarlo, si è data lo scopo di vendere maglie con l’immagine di Piscitelli per dare gli incassi in beneficenza. Indiscutibile che la beneficenza stessa sia lodevole, ma anche qui non sarebbe stato male se l’associazione ricevente avesse dato un’occhiata più precisa all’immagine problematica di Piscitelli. Viene a prevalere anche qui la posizione di tanti ultrà e politici di destra: altre attività del personaggio Diabolik si giudicano irrilevanti.