Nell’intersezione tra criminalità organizzata, impatto ambientale e smaltimento dei rifiuti si posizionano le ecomafie, responsabili, tra l’altro, dell’inquinamento ambientale.
Il termine ecomafie è stato utilizzato per la prima volta dall’associazione ambientalista Legambiente negli anni 2000 e fa riferimento a tutte le attività illegali poste in essere dalle organizzazioni criminali che danneggiano gravemente l’ambiente. Si tratta dell’ennesimo fenomeno che vede le mafie operare nell’ombra, sfruttando a proprio vantaggio le lacune normative e corrompendo i soggetti deputati all’applicazione dei procedimenti di controllo.
In tal modo, le ecomafie riescono a trarre profitti dal degrado dell’ambiente e dall’illecito commercio di risorse naturali. Peraltro, le regioni a tradizionale presenza mafiosa (i.e., Campania, Sicilia, Puglia e Calabria) sono quelle in cui l’impatto dell’ecocriminalità è maggiore.
Dal rapporto di Legambiente del 2023 sono stati rilevati 30.686 reati contro l’ambiente e sul podio si collocano: il ciclo illegale del cemento (relativo sia agli abusivismi edilizi che agli appalti), i reati contro la fauna e il ciclo dei rifiuti. Inoltre, tra i reati ambientali che ogni anno fruttano alle mafie milioni di euro ci sono: l’illegalità nel settore dell’agroalimentare, l’abusivismo edilizio, gli incendi boschivi dolosi, lo smaltimento e la gestione illecita dei rifiuti, nonché il traffico di buste shoppers illegali.
Ad ogni modo, una delle attività più dannose e più redditizie delle ecomafie è la gestione illecita dei rifiuti. Si tratta, in particolare, del fenomeno dello smaltimento abusivo, nel corso del quale i rifiuti tossici vengono occultati o scaricati illegalmente, causando danni irreparabili agli ecosistemi. Così facendo, i terreni agricoli e le acque sotterranee subiscono gravi contaminazioni, minando la salute delle comunità locali e il ciclo naturale degli ecosistemi.
Il decreto legislativo n. 22 del 1997 definisce pericolosi i rifiuti tossici smaltiti in maniera abusiva. Le norme contenute nel citato decreto prevedono che tali rifiuti vengano trattati attraverso specifiche procedure, molto onerose, idonee a renderli privi di rischi. Le imprese che cercano il profitto con ogni mezzo finiscono per affidarsi alle organizzazioni criminali ecomafiose che vengono scelte poiché capaci di offrire il servizio ad un prezzo più basso. In tal modo, le imprese effettuano scelte amorali e utilitaristiche che risultano essere congeniali alle logiche criminali. L’ecomafia, dunque, andrebbe sconfitta sul terreno economico in modo da sottrarle ogni spazio di possibile consenso sociale.
Un altro settore coinvolto dall’attività ecocriminale è l’industria alimentare, in cui la contraffazione e la produzione di prodotti alimentari illegali sono, purtroppo, molto frequenti. Si pensi alle contraffazioni che imitano prodotti biologici o DOP (i.e., Denominazione di Origine Protetta), che danneggiano spesso gravemente la salute dei consumatori e compromettono la credibilità del settore.
Il danno economico causato dalle ecomafie, quindi, è considerevole. La concorrenza sleale generata dalla produzione e vendita di prodotti contraffatti, infatti, indebolisce le imprese che operano nel pieno rispetto normativo, compromettendone fortemente la competitività.
Tuttavia, ai danni puramente economici si affiancano, ben più gravi e irreversibili, quelli che impattano sulla salute. Numerosi studi aventi validità scientifica, infatti, hanno dimostrato che nelle aree interessate dallo svolgimento di pratiche ecomafiose vi è una correlazione tra queste e l’aumento di neoplasie (in particolare polmonari e tiroidee), oltre a problemi respiratori cronici e neurologici.
La Terra Dei Fuochi
La Terra dei fuochi, nella regione campana, è un’area a cavallo tra il napoletano e il casertano in cui da decenni si verifica lo smaltimento illegale di rifiuti tossici. In quelle terre, buona parte dei terreni agricoli, un tempo fertili, sono diventati teatro di discariche abusive e contaminazioni di sostanze altamente nocive per la salute umana. I roghi e l’interramento illegale dei rifiuti tossici, infatti, sprigionano sostanze letali, come la diossina, che vengono assorbite dalle persone e dagli animali del posto e penetrano nelle falde acquifere, entrando in tal modo nella catena alimentare.
La Camorra, in questa zona, è leader indiscusso nello smaltimento illegale di rifiuti provenienti dal resto d’Italia. Le prime attività nel settore risalgono agli anni ’80, ma è solo nel 1996 che vengono aperte le indagini sulla Terra dei fuochi, grazie all’impulso del vicecommissario Roberto Mancini1. Del resto, il business camorristico garantisce un indotto di svariati milioni di euro e tale circostanza ha trovato conferma nelle dichiarazioni rese dal pentito Carmine Schiavone2.
Tutti gli effetti negativi visti fino ad ora risultano addirittura amplificati nel territorio che prende il nome di Triangolo della morte, compreso tra i comuni di Acerra, Nola e Marigliano. Quest’area si presenta come una vera e propria discarica illegale di rifiuti tossici a cielo aperto, in cui anche la geografia naturale ha subito modificazioni. Si sono create, infatti, numerose collinette di diversa grandezza che, nonostante appaiano ricoperte di vegetazione, sono tutt’altro che innocue. L’area del Triangolo della morte, infatti, vanta il primato negativo di area con il rischio più elevato in Italia d’insorgenza di tumori. In effetti, le analisi del sangue delle persone colpite da tali patologie evidenziano una presenza ematica massiccia di metalli pesanti, di gran lunga superiore rispetto alla quantità ritenuta normale.
Alla luce di tutto ciò, appare necessario un intervento immediato da parte delle Istituzioni per contrastare il fenomeno dell’ecocriminalità. Le proposte di Legambiente, a questo proposito, riguardano l’approvazione di riforme necessarie al rafforzamento delle attività di prevenzione e controllo, nonché l’introduzione, nel Codice penale, dei delitti contro le agromafie e la fauna.
Pertanto, anche il crimine ambientale va contrastato con un’economia che sia espressione di una cultura radicalmente diversa: più partecipata, più responsabile e più consapevole della fragilità degli ecosistemi. Ove manca la consapevolezza, infatti, non può esservi rispetto della legge. La sfida più grande, dunque, consisterebbe nell’arrivare prima del reato perché quando si giunge all’aula di tribunale, nel migliore dei casi, è già troppo tardi.
A trent’anni dalla scomparsa, Ilaria Alpi: Martire Del Contrasto Alle Ecomafie
La storia di Ilaria Alpi è una vicenda drammatica diventata il simbolo del giornalismo investigativo e della lotta per la verità. Giornalista italiana per la Rai, Ilaria Alpi ha studiato e investigato il traffico illegale di armi e rifiuti tossici provenienti dall’Italia e diretti in Somalia. Qui ha trovato la morte insieme al suo cameraman Miran Hrovatin, in condizioni ancora oscure, il 20 marzo 1994 a Mogadiscio.
La giornalista, inviata in Somalia nel 1994 con l’obiettivo di trovare prove e informazioni riguardanti le citate attività illegali, molto probabilmente è entrata in possesso di informazioni tanto preziose e sensibili che ne hanno decretato la morte.
Si presume, infatti, che Ilaria Alpi avesse raccolto una quantità notevole di documenti che dimostravano la chiara correlazione tra il traffico transfrontaliero di rifiuti, il commercio di armi e la presenza di navi a perdere, ossia cargo dismessi usati per sotterrare rifiuti tossici.
Il coraggio e la professionalità di Ilaria Alpi sono un esempio per numerosi giornalisti che desiderano formarsi e lavorare alla luce dei valori, della verità e dell’onestà, portando avanti quelle iniziative che oggi rimarcano la sua storia, tra cui lo stesso premio “Ilaria Alpi”.
Di Eugenia Carretta
NOTE
1 Vicecommissario della polizia a guida della squadra mobile che per prima indagò a riguardo dei fatti inerenti alla Terra dei fuochi.
2 Membro del clan dei Casalesi, poi pentitosi e divenuto collaboratore di giustizia capace di far luce sui fatti inerenti alla Terra dei fuochi.