//UNA RIFLESSIONE SULLE VICENDE CARCERARIE: IL DILEMMA DEL GIUDICE

UNA RIFLESSIONE SULLE VICENDE CARCERARIE: IL DILEMMA DEL GIUDICE

Di Virginia Rocco

I fatti

Dopo violente proteste dei detenuti in occasione del diffondersi della pandemia da Covid-19, il 17 marzo scorso il governo, con il decreto “Cura Italia”(D.L. 18/2020), ha stabilito che per ridurre il rischio di contagi nelle carceri italiane, i condannati per reati di minore gravità e con meno di 18 mesi da scontare potessero chiedere gli arresti domiciliari.

Inoltre, sempre nell’ambito dell’emergenza sanitaria, alcuni Giudici di Sorveglianza hanno disposto scarcerazioni e collocazioni ai domiciliari anche per detenuti al 41 bis, con applicazione, in tali casi, della normativa ordinaria prevista per tutti i detenuti, dettata dal codice penale e dall’ordinamento penitenziario, applicate anche tenendo conto dell’inidoneità di alcuni istituti penitenziari a rispondere all’emergenza Covid-19.

Un caso che ha generato particolare scalpore è quello di Francesco Bonura, 78 anni, boss di Cosa Nostra vicino a Bernardo Provenzano, condannato in via definitiva per associazione mafiosa a ventitrè anni. Pochi giorni dopo, il Tribunale di Sorveglianza di Sassari ha disposto gli arresti domiciliari anche per Pasquale Zagaria, fratello del superboss dei “Casalesi” Michele Zagaria e considerato il “braccio economico” dell’organizzazione campana, condannato a venti anni di carcere. Sulla decisione dei giudici ha influito l’assenza, in Sardegna, di strutture sanitarie in grado di garantire al detenuto la prosecuzione dei trattamenti necessari alla cura di una patologia tumorale. In realtà i magistrati di sorveglianza avevano chiesto al Dap il suo trasferimento in un altro istituto penitenziario attrezzato, ma non essendo pervenuta in tempo la decisione, il tribunale di Sassari ha confermato il trasferimento di Zagaria ai domiciliari, in provincia di Brescia.

Anche a seguito del clamore suscitato da questi casi sulla stampa e nell’opinione pubblica, Francesco Basentini, direttore del Dap già contestato per la gestione delle proteste carcerarie di marzo, ha rassegnato le dimissioni ed il 2 maggio è stato chiamato a dirigere il Dap Dino Petralia. Inoltre, con il nuovo Decreto Giustizia (Decreto-Legge 30 aprile 2020, n. 28) approvato il 29 aprile, è stato introdotto l’obbligo da parte del magistrato di sorveglianza chiamato a valutare istanze per la concessione di domiciliari e permessi a detenuti al 41bis, di sentire il parere del Procuratore della Repubblica del tribunale del capoluogo del distretto dove è stata emessa la sentenza, quindi da chi si è occupato delle indagini, e del Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo.

Una riflessione sulla vicenda

Mi piacerebbe iniziare questa riflessione con una premessa doverosa seppur scontata e cioè che garantire il diritto è una finalità fondamentale delle carceri. Il sistema carcerario ha il compito di garantire, in base ai principi fondatori del nostro ordinamento, i diritti inviolabili della persona umana a tutti i detenuti, senza alcuna distinzione. Il carcere deve essere uno strumento di recupero e di tutela delle persona di cui devono sempre essere salvaguardati il rispetto e la dignità.

In tal senso, sin dall’inizio della diffusione dell’epidemia e delle rivolte carcerarie, avrebbero dovuto essere garantite le basilari condizioni di sicurezza sia, sotto il profilo sanitario-epidemiologico, nei confronti della generalità dei detenuti sia, rispetto al rischio di contagio, per quei detenuti già sottoposti a cure mediche per gravi patologie. Molte proteste sono state generate infatti dalla circostanza che in alcune carceri i detenuti non si rendevano conto di quello che stesse succedendo e questo ha provocato in loro un comprensibile sentimento di paura quando avrebbero dovuto essere più prontamente informati sul fenomeno e sui rischi di contagio ed essere rassicurati attraverso l’adozione da parte delle strutture penitenziarie di adeguate precauzioni sanitarie.

Analizzando la vicenda sotto il profilo più specificatamente giuridico, in base alla legge risulta possibile, in via eccezionale, derogare alle dure condizioni del 41 bis prevedendo anche la detenzione domiciliare per casi e condizioni di assoluta gravità.

È chiaro che, in questi casi, il giudice di sorveglianza chiamato a decidere in merito si trova di fronte ad una esigenza di bilanciamento di principi, da un lato il diritto alla salute del carcerato, dall’altra il diritto della comunità a non correre i rischi che l’eventuale scarcerazione di un condannato al 41 bis potrebbero comportare. Un condannato a questa genere di pena presenta infatti un elevato tasso di pericolosità e la scarcerazione potrebbe compromettere la sicurezza della comunità.

Come si può intuire la questione è assai delicata e si presta purtroppo anche a strumentalizzazioni politiche e a reazioni irrazionali e dettate dall’istinto, per la grande carica emotiva che tali temi in gioco intrinsecamente comportano.

Quindi anche il nuovo Decreto Giustizia è stato accolto da reazioni contrastanti. Molti si sono schierati contro rivendicando l’autonomia del giudice di sorveglianza nel valutare le circostanze di situazione clinica e di residua pericolosità sociale del soggetto al 41bis al fine di deciderne la scarcerazione e l’invio ai domiciliari, stigmatizzando che si arrivi a provvedimenti definiti “frettolosi” su pressione dell’opinione pubblica e della stampa. 

Cercando di offrire un’opinione il più possibile oggettiva, occorre precisare che le variabili in gioco possono rapidamente cambiare a seconda del caso concreto. È quindi, a mio parere, compito del nostro ordinamento e delle nostre istituzioni, garantire un’attenta e ragionata analisi di ogni singolo caso concreto prendendo in considerazione ogni variabile in gioco.

Ritengo quindi che la soluzione adottata nel nuovo Decreto Giustizia sia tutto sommato equilibrata laddove richiede che, quando si tratti di detenuti  sottoposti al regime di 41 bis, il giudice di sorveglianza, prima di provvedere al rinvio dell’esecuzione della pena con applicazione della detenzione domiciliare, è tenuto a richiedere il parere del procuratore distrettuale e del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo «in ordine all’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata ed alla pericolosità del soggetto». Il Decreto Giustizia comporterebbe quindi un supporto alla decisione (che forse potrebbe anche non risultare sgradito a molti giudici di sorveglianza) da parte di organi giudiziali centrali in grado di assicurare, avendo una visione generale del fenomeno, l’auspicabile omogeneità e parità di trattamento in questione sull’ intero territorio nazionale.

Un tentativo di sintesi

A mio parere, con il Decreto Giustizia, nessun diritto dei carcerati è stato violato, le nostre istituzioni continuano a dimostrare rispetto e dignità per ogni detenuto, salvaguardando le esigenze di salute e il principio di umanità della pena. Il Decreto Giustizia comporta solamente una garanzia in più affinché decisioni così problematiche vengano prese con la maggior coerenza possibile.

E soprattutto, come segnalato da eminenti giuristi, nel rispetto del fondamentale principio di uguaglianza, applicabile anche ai detenuti, che implica trattamenti identici per identiche situazioni e viceversa trattamenti diversi per situazioni diverse.

È stato infine da più parti considerato, in ossequio al principio di realtà, che i detenuti in 41 bis, in ragione della loro pericolosità, sono limitati nei contatti e sono quindi oggettivamente meno esposti al rischio di contagio rispetto agli altri detenuti, il che giustifica un atteggiamento di maggiore cautela nella valutazione di tali situazioni a tutela delle altrettanto importanti esigenze della collettività̀.

Contrariamente ai normali detenuti, notoriamente sottoposti a condizioni di sovraffollamento, chi è sottoposto a questo regime è detenuto infatti in una cella singola e non ha accesso, a differenza degli altri carcerati, agli spazi comuni dell’istituto penitenziario nemmeno nell’ora d’aria che avviene in totale isolamento. Paradossalmente, il rischio di contagio potrebbe essere maggiore al domicilio con i parenti conviventi (addirittura, come nel caso Zagaria, nella provincia di Brescia tra le più colpite dal virus), piuttosto che in una cella in totale isolamento.

Allargando il quadro, il problema, non solo per i 41bis ma per tutti i detenuti, altro non è che un aspetto delle attuali situazioni delle carceri italiane, da sempre soggette a problemi di sovraffollamento e ad un livello di cura, attenzione e supporto, anche sanitario, non adeguato rispetto agli standard europei e che certo non dipendono dall’impegno di chi ci lavora. Sarebbe quindi necessario pensare ad un piano di investimenti per dotare gli istituti penitenziari, o strutture dedicate di prossimità̀, di presidi specialistici idonei a gestire in sicurezza e con standard medici adeguati le patologie da cui i detenuti sono affetti.

Il mio auspicio è che, una volta cessata l’emergenza sanitaria e ripristinate le condizioni di normalità, le istituzioni e il nostro intero Stato vadano concretamente ad intervenire sul sistema carcerario, risolvendone i problemi, affinché in futuro un giudice non sia più costretto a compiere la dura e controversa scelta tra diritto alla salute del singolo e diritto alla sicurezza della collettività.