//Pellicole di Mafia

Pellicole di Mafia

di Tiziana Pezzotti

«Se fossi Saviano, con la scorta sempre dietro, mi verrebbe meno di esser spiritoso, e leggendo “Gomorra” ho imparato tanto sulla camorra, entrambe le ricette sono valide per combattere le mafie. Tutto serve, ma bisogna rimanere concentrati e non aspettare il grande evento drammatico, la strage. Si deve mantenere sempre alta l’attenzione, tutti, non solo lo Stato, se no poi c’è sempre qualcuno che ne approfitta. La ndrangheta, per esempio. A furia di dedicare attenzione, solo a sprazzi, alla mafia, da Cutolo in poi, si è persa di vista la ‘ndrangheta, che proliferava».

Così afferma l’attore e regista Pif al Corriere della Sera sottolineando come, con qualsiasi modalità, sia sempre necessario parlare di mafia come primo passo per combatterla, ed essendo le immagini il mezzo più immediato per comunicare con il proprio pubblico, ecco spiegata l’importanza di ideare film che trattino il tema della criminalità organizzata.
Sono celebri i primi film a riguardo, più di tutti “Il padrino” (Francis Ford Coppola, 1972), che ha suscitato scalpore perché apprezzato anche dai mafiosi stessi. Dal 2000 in avanti sono molti i registi che con la loro nuova e personale impronta sono stati capaci di sensibilizzare un pubblico sempre più grande.

A distinguersi nell’ utilizzo dell’ironia per trasmettere una denuncia riesce senza dubbio Pierfrancesco Diliberto (Pif), che con i suoi capolavori “La mafia uccide solo d’estate”(2013) e “In guerra per amore”(2016) ripercorre i delitti mafiosi in Sicilia, in due differenti momenti storici, dal punto di vista di un bambino nel primo film e di un giovanotto nel secondo, che stravolgono la realtà con gli occhi della loro innocenza, comunicando messaggi di forte impatto alla maniera di due nuovi “Forrest Gump”.
Come suggerisce il titolo, nel secondo film, è proprio per amore di una donna che il protagonista Arturo Giammarresi partendo da New York si arruola e sbarca in Sicilia, per poi ritrovarsi testimone della collusione tra mafia e liberazione alleata al termine del secondo conflitto mondiale. La sua presa di consapevolezza avviene soprattutto grazie alla guida del tenente italoamericano Chiamparino, che in guerra si trova per il suo di amore, quello per la patria.
La critica ha accolto con maggiore freddezza l’ultimo film di Pif, sostenendo che l’autore si perda in una serie di cliché sulla Sicilia, proprio quelli di cui si occupa la National Italian American Foundation: gli stereotipi degli italiani e italoamericani nel cinema. Tuttavia, sono spesso le scene che sottolineano particolari atteggiamenti che costituiscono il più grande “pugno nello stomaco” e fanno riflettere su quali siano state le concause dell’inarrestabile affermarsi del fenomeno mafioso. Un esempio si trova nella scena in cui l’esercito americano processa gli abitanti del paese palermitano sospettati di sostenere i fascisti, dove emerge il fattore che influenza maggiormente l’agire delle persone: quello che pensa la gente, come la gente giudica.

Una satira sulla convivenza civile si può definire invece “L’ora legale “(2017) di Ficarra e Picone, a cui non prestando la giusta attenzione si potrebbe dare l’etichetta di semplice commedia all’ italiana. Il film invece mette in risalto quegli atteggiamenti “legali” che sarebbero parte di un vivere responsabilmente fondamentale per superare la logica mafiosa. Viene raccontata la vicenda di un paese siciliano dove un professore di liceo nominato sindaco mette in pratica la sua lotta all’abusivismo, alla corruzione e all’assenteismo. Il popolo si accorge di non riuscire a sostenere questo stile di vita onesto e inneggia alla rivoluzione; significativo il commento di Picone: “Tutti invochiamo la legalità ma poi quando arriva questa legalità ci sta stretta perché dentro ognuno di noi c’è una parte di illegalità a cui ci siamo abituati e che abbiamo pure dimenticato di avere.”

Immagini spietate in un’atmosfera angosciante dominano invece “Gomorra” (Matteo Garrone, 2008), tratto dal libro di Roberto Saviano. Nel primo weekend di programmazione è stato il film più visto in Italia, diventando poi un vero e proprio cult. La pellicola racconta il gioco di denaro e potere radicato nella provincia partenopea di cui la camorra è padrona e dove si sviluppa la faida tra il clan dei Di Lauro, che regola i quartieri di Scampia e Secondigliano, e gli scissionisti di Raffaele Amato.
Lo stile della narrazione è quello che la critica ha definito tipico del gangster-movie e in questo caso riesce a testimoniare in modo indelebile la realtà di un periodo, un territorio, che rendono il flm un documento storico di grande valore. Quanto sia agghiacciante la ricerca mafiosa di una vita d’onnipotenza, viene comunicato da Gomorra sotto ogni punto di vista: dai paesaggi degradati, al sottofondo sonoro di spari e canzoni neomelodiche ascoltate dai mafiosi prima di commettere i loro crimini. L’ insieme vuole mostrarci quello che Saviano definisce “il vero”, che è però tutto nero.

Se Gomorra segue le vicende concatenate di quattro personaggi principali, ne “I Cento passi” (2000), Marco Tullio Giordana si concentra sul ritratto di Peppino Impastato, fin dalla sua nascita, a Cinisi, Palermo. Il padre era un mafioso al servizio del boss locale Gaetano Badalamenti, ma Peppino fin da bambino non riesce ad accettare la mentalità criminale e da adulto diventa un attivista antimafia scrivendo articoli e istituendo un’emittente radio locale. Il titolo del film fa riferimento ai cento passi che separano la casa del boss Badalamenti da quella di Peppino Impastato in modo da sottolineare come il male si nasconda quasi sempre a pochi passi da noi, anche quando facciamo finta di non averlo mai incontrato. Peppino viene assassinato su mandato di Badalamenti lo stesso giorno del ritrovamento del cadavere di Aldo Moro, evento che distoglie l’attenzione dei media dal delitto mafioso e che quindi il film vuole riportare alla memoria, dando spazio alle parole di Peppino che riassumono il sogno di ogni uomo innamorato della bellezza.

Molto interessanti son anche le pellicole che analizzano la psicologia mafiosa, forse la più difficile da interpretare, portando alla luce l’umanità che si cela dietro al boss criminale. Ne costituisce un celebre esempio “Fine pena mai” (Davide Barletti e Lorenzo Conte, 2007) che racconta attraverso la figura del boss Antonio Perrone la nascita della Sacra Corona Unita in Puglia. Il film mostra come una semplice smania di potere possa condurre a sregolatezza prima, e criminalità poi. Perrone afferma: “Tutto quello che non si poteva fare io lo potevo fare, ben presto diventai una specie di autorità del piacere, l’apostolo dello sballo, il problema era avere di più, sempre di più, ancora di più, ma una vita da sballo costa tantissimo. Ora mi sembra di non avere mai vissuto, ma di avere solo corso… ma è come se in fondo non avessi mai avuto altra scelta.” Di forte impatto è la scena finale dove il protagonista ormai condannato all’ergastolo parla alla moglie deluso da sé stesso, scusandosi per non aver mantenuto la promessa fatta in gioventù di starle sempre accanto, ma comunque, forse per orgoglio, forse per convinzione, afferma di non riuscire a pentirsi dei delitti commessi.

Il secondo film dei due registi che si può considerare il prequel di “Fine pena mai” è “La guerra dei cafoni” (2017) che analizza come giocosi scontri fra bande di ragazzini possano sfociare in vere e proprie guerre seguendo un processo che secondo i registi si può riferire a diverse spiacevoli occasioni, dai conflitti degli anni di piombo alle lotte tra faide mafiose. In un villaggio della Puglia anni 70 ogni estate si combatte una lotta tra i figli dei ricchi, i signori, e i figli della terra, i cafoni. La comparsa della figura del violento “Cuggino” trasformerà i cafoni in delinquenti, segnando l’ingresso ufficiale della malavita organizzata nel tessuto sociale.” “Cuggino” rappresenta quell’ ossessione per il possesso che porta fatalmente verso la rovina morale. Questo film a differenza degli altri lascia però un’immagine di speranza: la scena finale che vede protagonista Mela, una ragazza della banda dei cafoni, innamorata del capo dei signori. Mela ogni sera ammira in lontananza piccole luci a lei ignote, desidererebbe raggiungerle se non si sentisse intrappolata dall’ appartenenza al gruppo. Mela nel finale con una barca di legno naviga verso quelle stelle, un’immagine che potrebbe suscitare il disappunto dei meno romantici, ma che rappresenta per lei, e quindi per tutti quelli che riescono a vederla, una via d’ uscita a quel sistema.