//Chiamatela mafia

Chiamatela mafia

di Giulio Panzeri

Non ne parla quasi nessuno, eppure estorsioni, rapine, sparatorie e omicidi sono sotto gli occhi di tutti. Che Foggia e provincia siano terra di mafia lo sanno in pochi. Grande clamore mediatico si ebbe solo la scorsa estate quando, nelle campagne di San Marco in Lamis, vennero freddati due pregiudicati, vittime di una esecuzione mafiosa, e insieme a loro vennero uccisi anche due contadini del posto la cui unica colpa era quella di aver assistito al delitto. Poi, sulla mafia foggiana, è caduto di nuovo il silenzio.

Le origini -spiega Agostino De Paolis, ex capo della squadra mobile di Foggia- risalgono agli anni ’70, quando alcuni esponenti locali cominciarono a scalare i vertici delle organizzazioni criminali e stringere alleanze. In provincia di Foggia operano tre gruppi criminali, legati tra loro ma radicati in zone diverse. Nel capoluogo troviamo la cosiddetta “società foggiana”, un altro gruppo si trova a Cerignola, mentre un terzo ramo ha sede nel promontorio del Gargano, tra Manfredonia, Mattinata, Monte Sant’ Angelo e Vieste. Come sottolinea il Com. Marco Aquilio, Comandante provinciale dei carabinieri, “è una mafia che ha subito l’influenza delle altre organizzazioni mafiose, in particolare camorra, ‘ndrangheta e la sacra corona unita, diventando nel tempo autonoma e caratterizzandosi sul territorio”.

Una delle caratteristiche principali della mafia foggiana è la quasi totale assenza di pentiti, peculiarità che non casualmente condivide con la ‘ndrangheta, da ricollegarsi -spiega ancora De Paolis- alla spietata efferatezza di questa organizzazione (e in particolare del gruppo con sede a Foggia), che si preoccupa non solo dei vivi ma anche dei morti: numerosi sono infatti i casi di persone scomparse, con ragionevole certezza uccise proprio dalla mafia, i cui corpi non sono mai stati ritrovati, seguendo la stesa logica della Lupara bianca secondo cui “anche i morti parlano”.

Come tutte le mafie, anche questa fonda il controllo del proprio territorio principalmente sul potere economico derivante dalle attività illecite. Il gruppo di Cerignola è forse il più famoso a riguardo, essendosi reso protagonista negli anni di rapine, il più delle volte anche “spettacolari”, a carico di TIR fermi nelle aree di servizio e di furgoni portavalori. Un business consolidato che è stato esportato anche in altre regioni italiane, come testimonia tra le altre la rapina avvenuta nel dicembre 2016 al caveau dell’istituto di vigilanza “Sicurtransport” di Catanzaro, che fruttò ben 8 milioni di euro, e perfino all’ estero.

Anche in questa parte di Puglia il connubio mafia- imprenditoria è purtroppo una realtà all’ordine del giorno: la presenza mafiosa si fa sentire in particolare nell’agroalimentare, con il controllo diretto del caporalato, ma coinvolge in generale tutta l’attività agricola e la grande distribuzione, e negli anni si è dilatata fino allo smaltimento illegale dei rifiuti e al ciclo illegale del cemento, oltre ai classici reati di stampo mafioso come estorsione, traffico di droga e contrabbando.

La criminalità foggiana ha quindi tutte le carte in regola per essere definita una vera e propria mafia. Una mafia che ovviamente non può prescindere dal rapporto con la politica. Due comuni della zona sono stati sciolti negli ultimi tre anni per infiltrazioni mafiose, e uno di questi due è proprio Mattinata il cui sindaco, intervistato qualche mese da un cronista della trasmissione di Rai2 “Nemo”, aveva addirittura negato la presenza di attività mafiose all’interno del proprio comune. Il clima di omertà e paura che si respira nel piccolo comune del Gargano non ha nulla da invidiare a quello di San Luca o di Castelvetrano: “Ognuno si fa i fatti propri, non si va oltre”, “La cosa migliore è non impicciarsi”, “E’ tutta un’invenzione”. Quante volte abbia sentito pronunciare questa frase in molti territori della nostra penisola a forte presenza mafiosa. E anche Mattinata, purtroppo, non fa eccezione.

Dinanzi a tutto ciò -viene da chiedersi- come hanno risposto le istituzioni? Il tema non è nuovo tra i vertici dell’apparato di sicurezza del nostro paese, e nemmeno in parlamento. Nella passata legislatura una commissione d’inchiesta sul fenomeno delle mafie in Italia aveva dedicato un apposito capitolo alla mafia foggiana. All’indomani della strage di San marco in Lamis il ministro Minniti dispose l’invio di un ingente quantitativo di rinforzi tra le forze di polizia. L’Arma dei Carabinieri in autunno ha annunciato la creazione di un nuovo reparto speciale, i “Cacciatori del Gargano”, che si promette di ripetere l’encomiabile lavoro svolto dagli analoghi reparti in Sardegna, Calabria e Sicilia. Le attività straordinarie di prevenzione e repressione hanno certamente avuto un effetto positivo, in particolare nel rapporto fiduciario tra amministrazione e popolazione, ma come sempre questo è e deve essere solo il primo passo. Fino a quando non si avrà una piena presa di coscienza da parte della società civile foggiana e una forte reazione, una vera ribellione oserei dire, alla sovrastruttura mafiosa che alcuni gruppi criminali sembrano essere riusciti ad imporre con la forza, le formidabili energie positive di questa terra a forte vocazione turistica rimarranno sempre oppresse e, quindi, incompiute.

(Più di) qualcuno sembra averlo capito, e sta iniziando a parlare.