«Qualche anno fa fui assunto in un istituto finanziario per collaudare i sistemi di antiriciclaggio. In altre parole, mi era stato chiesto di controllare, prestando la medesima attenzione, ciascuna delle decine di migliaia di transazioni che una banca di medie dimensioni giornalmente conduce. Era necessario un meccanismo che fosse in grado di indirizzare l’attenzione dell’uomo».
È dall’applicazione di questa ipotesi operativa che Antonio Parbonetti, professore ordinario all’Università di Padova, ha elaborato, insieme ad alcuni colleghi, un algoritmo in grado di rilevare predittivamente il rischio che un’azienda sia legata alla criminalità organizzata.
L’attività di Parbonetti ha avuto inizio dalla raccolta di dati presenti in operazioni di polizia e sentenze giudiziarie. Le imprese individuate tramite una precisa metodologia associata a questa ricerca sono state classificate e ne sono stati analizzati gli effetti economici. I risultati sono sorprendenti, poiché si è dimostrato come ogni volta che sia stata rimossa un’azienda collusa da un territorio, un’altra società, operante nello stesso comune e nello stesso settore, abbia aumentato il proprio EBITDA (reddito dell’impresa al netto di imposte, ammortamenti, deprezzamenti e interessi, ndr) del 20%, mentre, più diffusamente, si è determinata una riduzione considerevole della tax avoidance (evasione fiscale, ndr). Quest’ultimo aspetto è particolarmente rilevante, dal momento che, a livello aggregato, il mancato pagamento di imposte riconducibili a un competitor sleale (le organizzazioni mafiose) ha un valore per il Paese intorno ai 6-7 miliardi di euro annui.
All’attività di individuazione degli effetti micro e macroeconomici la squadra di Parbonetti ne ha affiancata un’altra, che consiste nell’utilizzare i dati raccolti sulle aziende criminali per elaborare un indicatore in grado di prevedere il rischio di infiltrazioni al loro interno. Detto altrimenti, l’obiettivo ultimo dell’algoritmo è quello di comunicare quanto rischiosa sia una società per poter stabilire se le transazioni da essa condotte debbano essere controllate con una frequenza alta, media o bassa.
La metodologia di ricerca, sebbene complessa ed insidiosamente tecnica, risulta interessante per comprendere il salto di qualità ulteriore che l’algoritmo ha consentito di compiere non solo in ambito economico-giudiziario, ma anche scientifico. Agli addetti ai lavori risulterà stimolante comprendere come il team di Parbonetti abbia deciso di integrare i basilari modelli di regressione logistica con i più sofisticati modelli di intelligenza artificiale, con l’esito di perfezionare la ricerca in questi nuovi ambiti di studio. A coloro con meno familiarità nella tematica basterà sapere che il modello di partenza aveva il sostanziale obiettivo di separare le varie osservazioni raccolte su un piano grafico, così da poterle analizzare con maggiore immediatezza, mentre il supporto dell’IA è teso ad offrire una maggiore rapidità e sicurezza delle procedure.
Entrando nel merito della suddetta metodologia, il database su cui è stato costruito l’algoritmo corrisponde al campione di aziende che vanno sotto il nome di società criminali. Queste ultime sono così classificate dal gruppo di ricerca in funzione della loro connessione con la criminalità organizzata. In altre parole, una società è così definita nel caso in cui siano presenti al suo interno soggetti arrestati per reati di associazione mafiosa occupanti ruoli di amministratore o di azionariato pari almeno al 10% del capitale sociale. Inoltre, le aziende sono prese in considerazione dal momento in cui si verifica l’incriminazione da parte della magistratura. A tale intervallo si estende il periodo antecedente solo nella misura in cui la persona incriminata sia stata o meno parte dell’azienda (a quel punto si parla di fase infiltrata). Tuttavia, qualora i soggetti in questione siano dichiarati innocenti con sentenza definitiva, tutte le aziende in cui erano coinvolti vengono escluse dall’elenco delle società criminali. Si veda a tal proposito il caso di Mafia Capitale, per i cui imputati non è stata riconosciuta in via definitiva l’aggravante dell’associazione mafiosa e le aziende in cui erano coinvolti sono dunque state escluse dalla ricerca. Non di meno il sopra esposto meccanismo consente di individuare aziende connesse alla criminalità in modo certo e non solo probabilistico, dal momento che si fonda su dati prettamente processuali e, quindi, fattuali.
Ad oggi il quadro nelle mani del gruppo di Parbonetti comprende circa 200 operazioni di polizia e connesse sentenze. Queste ultime consentono di ottenere dati quantitativi di natura contabile (conti economici e stato patrimoniale delle imprese), raccolti in un unico contenitore di informazioni detto annual report. Quest’ultimo ha una fondamentale efficacia pratica, in quanto costituisce un dato strutturato e stabile nel tempo, e quindi particolarmente idoneo per la fruizione da parte di una macchina. Detto altrimenti, grazie al suo suo utilizzo non è necessario inserire manualmente informazioni di carattere qualitativo, ma è possibile analizzare automaticamente il rischio di infiltrazioni relativo ad un considerevole numero di imprese. È altrettanto vero che informazioni anagrafiche dei soggetti coinvolti o sulla tipologica di business di cui si occupano potrebbero fornire elementi di indagine ancora più incisivi, ma richiederebbero un lavoro eccessivamente dispendioso.
In aggiunta, l’algoritmo si è servito di alcune variabili volte a distinguere le aziende legate alla criminalità organizzata dalle altre. Si tratta di ben 226 caratteristiche, alcune frutto di soli dati grezzi (c.d. dati contabili), mentre altre frutto di pura elaborazione. Al fine di verificare l’attendibilità dell’algoritmo, le aziende sono state suddivise in due gruppi: il primo, detto training set, era costituito da società delle quali era certo il legame con la criminalità, e aveva lo scopo di allenare la macchina nell’individuazione delle suddette variabili; il secondo gruppo, detto test set, aveva lo scopo di individuare, all’interno di un complesso di imprese miste, le aziende colluse. L’obiettivo di tale attività consisteva nel massimizzare la performance predittiva dell’algoritmo, in modo da ridurre il più possibile il rischio di un “falso positivo”.
In un primo momento, trattandosi di un’intelligenza artificiale, erano stati forniti all’algoritmo i soli dati grezzi, ma se questo in laboratorio aveva portato a risultati performanti, lo stesso non poteva essere detto riguardo la sua efficacia nella realtà. A tal proposito, i ricercatori hanno integrato le variabili grezze con degli indicatori frutto di elaborazione, basandosi su dati tradizionali propri dell’economia aziendale e dati caratteristici (c.d. business model) di un’attività economica legata alla mafia.
Oltre agli encomiabili successi di carattere scientifico, altrettanto sorprendenti sono i risultati ottenuti per mezzo dell’algoritmo. Ad esempio, benché l’edilizia rappresenti ancora il settore di maggiore interesse della malavita, l’algoritmo ha rilevato un incremento degli investimenti anche in settori alquanto diversi, quali il manifatturiero. In aggiunta a ciò, da un punto di vista territoriale, alcune aree del Veneto, della Lombardia e del Piemonte presentano dati non dissimili da quelli rilevati in regioni come la Calabria. Tutto ciò a discredito dell’inossidabile pregiudizio secondo il quale le organizzazioni mafiose hanno disponibilità, interessi e rapporti di cooperazione solo nel Meridione italiano. Sovente è infatti il Nord industrializzato a presentare maggiori attrattive per gli affari criminali, in quanto l’affiliato capobastone del piccolo comune del Sud può facilmente tramutarsi in un utile socio e rispettabile uomo d’affari per l’economia legale del Nord.
Per quanto concerne la rilevabilità delle imprese criminali i risultati sono importanti: su un campione di dieci aziende l’algoritmo è in grado di individuarne almeno due connesse alla criminalità, e peraltro il dato è sostanzialmente libero da falsi positivi, il che comporta che, nonostante la rilevabilità non sia particolarmente elevata, è perlomeno certa.
Tra gli usi dell’algoritmo era inizialmente prevista la sua applicazione ad analisi massive, cioè riguardanti grandi quantità di dati, ma oggi oltre al suo possibile impiego in ambito pubblico, (e.g. collaborazione con Cassa depositi e prestiti), la ricerca di Parbonetti è risultata utile anche al comparto privato. Si ricordi, ad esempio, l’adozione dell’algoritmo da parte di imprenditori per la valutazione dei loro fornitori; in altre parole, le aziende particolarmente grandi con molti fornitori utilizzano l’algoritmo per analizzare il potenziale rischio di infiltrazioni nelle imprese con cui collaborano. Chiaramente l’algoritmo predittivo non è sufficiente, ma costituisce un campanello d’allarme per i suoi utilizzatori, i quali devono essere in grado di gestire il rischio rilevato, e ciò spesso coincide con l’effettiva necessità di ulteriori controlli.
Similmente alla macchina elaborata da Parbonetti opera Cri.Pre., un algoritmo in grado di calcolare il rischio di infiltrazioni mafiose all’interno degli apparati politico-amministrativi dei comuni.
Esso nasce da un’idea di Radici future, società dello scrittore e ricercatore Leonardo Palmisano, grazie ad una convenzione con il dipartimento di informatica dell’Università di Parma. Inizialmente il progetto, frutto di un’esigenza del Ministero della Giustizia, mirava ad individuare i fattori di rischio di unificazione di sistemi criminali e sistemi fondamentalisti all’interno di sezioni di detenuti in alta sicurezza o anche comuni o, più in generale, nei luoghi in cui queste due categorie di soggetti comunicano tra loro. All’epoca la Puglia era la regione con il più alto numero di comuni sciolti o commissariati per mafia, una decisione che era in procinto di adozione persino per la città di Foggia. Per tale ragione Palmisano e la sua squadra hanno deciso di spostare la propria missione di ricerca verso l’individuazione di variabili a partire dalle quali tentare la costruzione di un algoritmo predittivo che rintracciasse i territori soggetti ad un forte rischio di infiltrazione mafiosa.
Come per la metodologia impiegata dal precedente algoritmo, anche nel caso di Cri.Pre. l’obiettivo era la costruzione di variabili. A tal proposito, la letteratura scientifica suggerisce di soffermarsi sulla mera presenza nel territorio di attività economiche di un certo tipo. Tale assunzione di partenza è stata però smentita da ulteriori risultati di ricerca, secondi i quali, ad esempio, l’esistenza di un centro scommesse in un comune è un elemento irrilevante, o comunque insufficiente per stabilire l’infiltrazione di organizzazioni criminali in quel territorio.
A tal proposito, in effetti, le fondamenta dell’algoritmo sono state costruite soprattutto da documenti giuridici quali le relazioni delle commissioni di accesso agli atti che precedono lo scioglimento e il commissariamento dei comuni. Esse consistono in documenti governativi che vengono redatti dove si ravvisa la presenza di un’infiltrazione di stampo mafioso all’interno dell’apparato politico o amministrativo di un territorio. Si tratta di relazioni di carattere tecnico, scritte a seguito di mesi di indagini da parte delle commissioni prefettizie. Essendo esse particolarmente approfondite, si è proceduto ad un’attività di selezione, a partire dalla quale sono state ricavate le variabili di carattere qualitativo, le quali rappresentano la base su cui innestare le variabili di carattere prettamente quantitativo, come i dati demografici. La rilevanza di quest’ultimo dato è evidente alla luce del fatto che i comuni sciolti per mafia sono mediamente al di sotto dei 15 mila abitanti, considerazione che diventa ancora più manifesta in specifiche regioni quali la Calabria o aree come il Gargano od il basso Salento, dove la suddetta soglia si riduce a 5 mila abitanti.
Accanto a queste variabili, un aspetto ulteriormente interessante è il coinvolgimento di giornalisti di inchiesta per la costruzione dell’approccio iniziale. Grazie al loro aiuto è stata infatti portata a termine un’indagine riguardante articoli di giornale e pubblicazioni online provenienti da comuni sciolti, particolarmente insistenti in aree con una grande tradizione mafiosa (c.d. Puglia, Campania, Calabria, Sicilia e Basilicata) e in comuni sciolti per mafia del Centro-Nord. Tali rilevazioni hanno consentito di comprendere come alcuni reati riportati dalla stampa, e notoriamente riconducibili alla presenza mafiosa sul territorio (e.g. attentati a pubblici amministratori, aste sui loculi, corruzione) fossero semplicemente presentati come contingenti e non come riconducibili ad un fatto più ampio e strutturato, legato alla presenza della criminalità organizzata sul territorio. Adottare uno sguardo d’insieme riuscendo a cogliere il filo conduttore in grado di collegare eventi apparentemente estemporanei è dunque lo scopo ultimo dell’algoritmo, che mira ad evitare un’infiltrazione grave all’interno delle amministrazioni attraverso la lettura di ciò che avviene sul territorio. Si veda a titolo esemplificativo ciò che si è verificato in Emilia con i processi nei confronti della ‘ndrina Grande Aracri: la stampa locale non riconduceva diversi reati gravi alla mano criminale delle organizzazioni mafiose, ostacolando così un intervento efficace sul territorio.
Oltre ai documenti tecnici e agli articoli d’inchiesta, altra importante fonte di variabili è stata l’individuazione delle tipologie di imprese operanti nel territorio. Cerignola, ad esempio, che ha una mafia autoctona, vive soprattutto di attività agricola ed ha una situazione demografica simile ad altre città come Latina. In altre parole, queste rilevazioni consentono di effettuare collegamenti tra comuni sciolti, non ancora sciolti o già precedentemente sciolti per infiltrazioni mafiose, e ottenere risultati efficaci.
Le suddette analisi sono state ulteriormente integrate da un’indagine dei consistenti flussi migratori dal Sud verso determinante aree del Nord, risalenti al boom economico avvenuto tra gli anni ’50 e ’60, con la conseguente formazione di quartieri ghetto, nei quali risiedevano soli cittadini del Meridione, tra i quali rientravano membri di alcune famiglie criminali provenienti principalmente da Campania, Calabria e Sicilia. Questi ultimi furono da subito in grado di costruirsi una nuova rete economica di sodalizi criminali, soprattutto se in possesso di titoli di studio medio-alti, come scoperto dal gruppo di Palmisano. Ciò ne aumentava infatti la credibilità agli occhi della cittadinanza, un meccanismo non distante dall’odierno utilizzo di giovani laureatisi in atenei prestigiosi da parte delle organizzazioni mafiose, che costituiscono l’anello di congiunzione tra i loro padri e particolari settori di investimento. Si veda a titolo illustrativo le incessanti infiltrazioni dei clan calabresi nel settore sanitario e farmaceutico, di cui offre un’ampia trattazione il Monitoraggio della presenza mafiosa in Lombardia redatto da Cross, osservatorio sulla presenza mafiosa coordinato dall’Università Statale di Milano. In breve, l’accesso ai servizi della sanità offre alle organizzazioni criminali rispettabilità sociale (e.g. la gestione di farmacie di quartiere nell’hinterland milanese) e covi sicuri (e.g. ospedali usati come sede di summit o cliniche private in cui trascorrere la latitanza), ed è accompagnato dall’accesso a settori economici in grado di garantire lo spostamento di elevatissimi flussi di denaro (e.g. mercato dei farmaci e delle attrezzature ospedaliere).
Innegabile è anche il contributo dato dalla scelta, risalente agli anni ’50, di imporre il soggiorno obbligato, che ha determinato l’allontanamento degli affiliati alle organizzazioni mafiose dai propri territori d’origine verso comuni insospettabili del Nord. Ciò non determina tuttavia una diminuzione della grave responsabilità di componenti deviate e minoritarie della società civile del Settentrione, le quali si sono fatte promotrici di contatti con soggetti riconosciuti associati ad imprese criminali. Il Nord non si è mai presentato come terra ostile per le mafie, ma piuttosto come proficua terra d’affari. La capacità di individuare incessanti interlocutori a tutti i livelli della società e dello Stato garantisce tutt’oggi alle organizzazioni mafiose una grande permeabilità di vasti contesti economici, politici e istituzionali.
In ultima istanza, l’algoritmo ha dimostrato che l’infiltrazione è altamente probabile in una fase di crisi economica non profonda, ovvero quando il denaro delle mafie può essere introdotto all’interno del circuito economico mediante il benestare della politica, prettamente attraverso la costruzione di una rete di tangenti e corruzione, la quale impedisce che le imprese coinvolte siano sottoposte a verifiche da parte della Guardia di Finanza. Lo stato di depressione economica di un’impresa è molto appetibile per le organizzazioni mafiose, in quanto mette in luce la maggiore vulnerabilità dell’amministrazione, più facilmente soggetta a cedere alla ricapitalizzazione da parte delle stesse, che acquisiscono porzioni della società. Nel settore edilizio si registra ad esempio un aumento della frequenza del subappalto sui servizi legati alla vigilanza sui cantieri. A tal proposito, sono stati affiancati all’algoritmo degli alberi economici in grado di connettere le imprese a settori diversi da quello di appartenenza: l’edilizia in sé non racconta propriamente la sua peculiare attività, ma è appunti legata alla vigilanza.
Le mafie peraltro, quando non confliggono tra di loro, non si adeguano alle suddivisioni amministrative dei comuni. Per tale ragione, la ricerca di Palmisano muove anche in direzione di possibili sedimentazioni economiche, ovvero l’esistenza di possibili sodalizi criminali tra organizzazioni di differente estrazione. Ciò è anche possibile confrontando i sistemi criminali autoctoni con la capacità organizzativa di altri di stampo gangsteristico o straniero (e.g. la mafia turca, particolarmente presente in suolo tedesco), il che consente di individuare delle aree estere che, secondo la legislazione italiana, andrebbero sciolte, o comunque nelle quali andrebbe incrementata la sensibilizzazione in merito al tema della corruzione, che nell’agenda delle organizzazioni internazionali ha spesso un ruolo marginale.
Altro dato rilevante è l’esistenza di un mix sociale all’interno di un quartiere. Come infatti detto in precedenza, l’esistenza di quartieri “monoetnici”, con la presenza di soli meridionali, ha certamente favorito la riproduzione di egemonie criminali che, sebbene di minore portata rispetto al territorio d’origine, costituiscono un elemento di alto rischio. Esempio emblematico è rappresentato dal già citato caso dei Grande Aracri, famiglia criminale che divenne rilevante nel territorio emiliano entrando in conflitto con il capobastone locale, il quale apparteneva alla prima generazione di ‘ndranghetisti migrati al Nord. Vinta quella guerra, che si svolse dall’area di Brescello fino a Reggio Emilia, i Grande Aracri vi hanno imposto la propria supremazia, accompagnata dal benestare del Crimine calabrese. Essi, in particolare, hanno approfittato dei flussi migratori dalla Calabria, al cui interno erano premescolati, e si sono costruiti una rispettabilità sociale sul campo.
Diversamente, i dati di carattere antropologico sono utilizzati soprattutto in relazione alla mafia straniera, prevalentemente quella nigeriana. In questo ambito, lo Stato italiano dovrebbe agevolare l’accesso ad alcuni tipi di informazioni, costruendo ad esempio un’anagrafe completa che coinvolga anche i paesi d’origine dei cittadini stranieri. Sebbene non esistano comuni “ideali” all’estero, le istituzioni sono state talvolta in grado di sfruttare l’eterogeneità etnica dei propri territori. Si veda ad esempio il caso di Buffalo, città rigenerata lavorando sul mix sociale e culturale dei quartieri dove erano presenti organizzazioni di stampo gangsteristico (e.g. la mafia irlandese). Malgrado ciò, tali interventi sono risultati spesso inefficaci nei confronti di organizzazioni mafiose tradizionali, le quali continuano infatti ad essere presenti (e.g. Cosa nostra americana) sul territorio.
D’altro canto, beni confiscati o delitti efferati, quanto piuttosto stragi, non sempre costituiscono un campanello di allarme sufficientemente emblematico. I primi potrebbero essere il semplice frutto di un reinvestimento di capitali come forma di riciclaggio o di semplice acquisizione di edifici per condurre incontri indisturbati, ma non sempre costituiscono un segno evidente di un’infiltrazione diffusa in un dato comune. Per quanto riguarda invece i delitti di funzionari o commercianti, questi spesso avvengono nei territori d’origine, e non nelle nuove mete di investimento. Tornando all’esempio dei Grande Aracri, Nicolino Grande Aracri organizzò l’omicidio del boss Antonio Dragone, al fine di imporre la propria egemonia sul territorio di Reggio Emilia, a Cutro, perché l’Emilia doveva preservarsi quale terra di affari. Inoltre, gli attentati difficilmente sono una strategia utilizzata dalla mafia contemporanea infiltrata nel Nord. Solitamente si giunge ad intimidire o eliminare membri di un’amministrazione quando, a seguito di elezioni, i nuovi membri risultino essere molto più intransigenti dei precedenti. Si tratta però di un atto piuttosto radicale, che origina dalla volontà di determinare un nuovo allineamento.
I già citati investimenti costituiscono un rilevante elemento di pericolo per l’economia legale del Nord Italia, poiché l’esistenza di società colluse crea meccanismi di concorrenza sleale che alterano la competitività delle aziende non di natura criminale, costrette per questo a ripensare la propria capacità di produrre ricchezza, di acquistare determinate materie prime e di offrire i propri servizi, con un forte impatto sui consumatori. Il danno creato dall’azienda mafiosa va dunque ben oltre la sua semplice presenza sul territorio, ed ha anzi un prezzo molto elevato sull’intero tessuto economico.
Entrando nel merito della questione, l’obiettivo preferito delle organizzazioni è costruirsi una società e farsi spazio nel settore dei servizi. Questi ultimi sono infatti a basso costo di produzione, e dunque fortemente attraenti nei confronti degli agenti economici. Si osservino ad esempio le infiltrazioni mafiose scoperte di recente in Toscana, dove un’azienda legata alla criminalità si era posizionata sul confine del distretto della concia, offrendo agli imprenditori locali un servizio di trasporto e smaltimento dei rifiuti a bassissimo costo. Gli operatori economici hanno dunque iniziato ad interagire con l’impresa e a sfruttare i suoi servizi. Nel corso della successiva campagna elettorale, le imprese di questo distretto hanno fatto pesanti pressioni sull’amministrazione regionale, affinché semplificasse la normativa sullo smaltimento dei rifiuti nella direzione di ulteriori risparmi per il ciclo produttivo. Questo si è infine tradotto nell’interramento di tonnellate di rifiuti lungo la strada da Empoli a Siena, con il conseguente inquinamento di campi coltivati, falde acquifere ed aree abitate. Come sottolineato in precedenza, la mafia si è in questo caso limitata ad aprire un’impresa che offriva un servizio ad un prezzo conveniente, subito richiesto dagli imprenditori locali, che hanno inconsapevolmente permesso che i mafiosi si impadronissero delle loro terre fino a devastarle.
Per concludere con una nota positiva, questi algoritmi mostrano come talvolta la società civile e lo Stato possano dimostrarsi più resilienti e reattivi della mafia. La capacità di quest’ultima di adattarsi a profondi mutamenti di ogni tipo, nonostante il contrasto giudiziario, suggeriva ai più pessimisti l’inesattezza dell’auspicio del magistrato Giovanni Falcone, secondo il quale la mafia è un fatto umano, e come tutti i fatti umani ha un inizio ed avrà anche una fine. Le nuove frontiere dell’economia, rappresentate dalla digitalizzazione dei processi produttivi, dell’informazione e dei trasporti, non devono comportare una deregolamentazione generalizzata per l’inerzia delle istituzioni. Il principale strumento di contrasto alle organizzazioni mafiose è la consapevolezza, in particolare delle nuove generazioni, che sono più facilmente coinvolte se si parla loro con l’attuale linguaggio a mezzi di interazione. Questi algoritmi muovono infatti verso tale direzione, consegnando maggiore conoscenza al pubblico ed al privato, agli organi giudiziari ed alla società civile. L’obiettivo per il futuro consiste nel saper sfruttare le semplificazioni e l’istantaneità offerte dalle nuove tecnologie non per aggirare (allo stesso modo delle mafie) le barriere del passato, ma con l’intento di razionalizzare ed efficientare i due principali binari di contrasto mafioso: la giustizia e l’educazione.
di Jacopo Rocca