//Il nuovo volto della ‘ndrangheta

Il nuovo volto della ‘ndrangheta

La ‘ndrangheta è rapidamente diventata la mafia “più imprenditoriale” che conosciamo. Alla sua strategia economico-imprenditoriale moderna si accompagna un forte attaccamento alle proprie radici e al nucleo familiare. Di seguito, un’analisi di questo particolare connubio tra innovazione e tradizione, dal quale la ‘ndrangheta trae le propria pericolosità.

A cura della Redazione

La ‘ndrangheta è rapidamente diventata la mafia “più imprenditoriale” che conosciamo. Alla sua strategia economico-imprenditoriale moderna si accompagna un forte attaccamento alle proprie radici e al nucleo familiare. Di seguito, un’analisi di questo particolare connubio tra innovazione e tradizione, dal quale la ‘ndrangheta trae le propria pericolosità.

Nella notte tra il 18 e il 19 Dicembre dell’anno scorso i Carabinieri del Ros conducono un’operazione su larghissima scala, che colpisce duramente la cosca ‘ndranghetista dei Mancuso. Conosciuta come operazione “Rinascita-Scott”, porta all’arresto di 330 persone (più quattro misure cautelari), assestando un durissimo colpo alla ‘ndrangheta, particolarmente nella provincia di Vibo Valentia. I capi d’imputazione sono quelli che siamo tristemente abituati a sentire in questi casi: associazione mafiosa, omicidio, estorsione, usura, fittizia intestazione di beni, riciclaggio ed altri reati aggravati dalle modalità mafiose. Nicola Gratteri, Procuratore della Repubblica di Catanzaro e a capo dell’operazione, non esita a definirla “La più grande inchiesta dopo il maxi-processo”. Anche se, purtroppo, del maxi-processo non ha avuto la medesima attenzione da parte di media e, soprattutto, della classe politica. Tuttavia, vi è ancora un dato, forse il più sorprendente, che riguarda l’estensione territoriale di questa operazione: gli arresti si sono verificati non solo in Italia, ma anche in Germania, Svizzera e Bulgaria. In Italia, oltre la Calabria, le regioni interessate sono la Lombardia, il Piemonte, il Veneto, la Liguria, l’Emilia-Romagna, la Toscana, il Lazio, la Sicilia, la Puglia, la Campania e la Basilicata. Un’ulteriore conferma, se ancora ve ne fosse bisogno, che le ‘ndrine si sono già da tempo infiltrate nel Centro-Nord del nostro Paese, impregnandone il tessuto economico.

La ‘ndrangheta tra innovazione…

L’ampiezza territoriale dell’operazione Rinascita-Scott evidenzia ciò che Gratteri, così come numerosi giornalisti e studiosi della ‘ndrangheta, affermano da tempo: la ‘ndrangheta si è rapidamente trasformata nella mafia più “imprenditoriale”, investendo i suoi proventi in ogni tipo di traffici in Europa, America, Africa e Oceania. Questa diffusione è favorita, come si legge nell’ultimo rapporto semestrale della DIA (Direzione Investigativa Antimafia), dall’integrazione dei mercati e dalla liberalizzazione dei movimenti di capitali, ma soprattutto dalla disomogeneità legislativa esistente tra i Paesi Europei. L’Italia, infatti, è uno dei pochi Paesi che persegue il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso e, inoltre, si rivela spesso complicato sequestrare e confiscare beni alla criminalità organizzata fuori dai nostri confini. Uno spiraglio di speranza si intravede da questo punto di vista: nel Febbraio 2019, la Supreme Court of Justice dell’Ontario (Canada) ha condannato un affiliato della famiglia degli Ursino a più di undici anni di reclusione, riconoscendo allo stesso tempo la presenza di esponenti della ‘ndrangheta in Canada, facenti capo al centro operativo in Calabria. Questa è una sentenza storica, perché rappresenta la presa di coscienza, da parte di uno Stato extra-europeo, della presenza sul proprio territorio di un’organizzazione criminale strettamente interconnessa con altre strutture criminali in Europa e in Calabria, il cui vertice è rappresentato dal cosiddetto “Crimine”. È fondamentale che le autorità politiche e locali estere comprendano che i “distaccamenti” della ‘ndrangheta mantengono legami strettissimi di identità con la sede centrale e che considerare questo forte senso di appartenenza come un semplice tratto folkrostico sarebbe una totale banalizzazione e sottovalutazione del fenomeno.

La vocazione affaristica della ‘ndrangheta non si espande solo geograficamente, ma anche settorialmente. Oggi vediamo la ‘ndrangheta affacciarsi in traffici nuovi, rivelando una strategia economico-imprenditoriale moderna e, soprattutto, capace di non dare nell’occhio. Questo punto viene trattato dettagliatamente nell’ultimo libro di Nicola Gratteri e Antonio Nicaso, “La rete degli invisibili”. Gli autori testimoniano come, accanto a investimenti tradizionali, quali bar, ristoranti, costruzioni e commercio all’ingrosso e al dettaglio compaiano settori, che non eravamo abituati a sentire associati alle mafie. Parliamo, per esempio, di money transfer, casinò, videolottery, slot-machine, smaltimento rifiuti, energie rinnovabili e distribuzione di gas/carburante. Una menzione particolare merita il gioco d’azzardo online: si tratta in pratica di gestione di bische “virtuali”, al di fuori del controllo del Monopolio di Stato perché di proprietà di società di diritto estero. Secondo le stime di SoS Imprese, il denaro coinvolto in gioco d’azzardo illegale gestito da organizzazioni mafiose ammonterebbe nel 2011 a 3 miliardi e 600 milioni. Questa cifra monstre potrebbe, tuttavia, sembrare irrisoria se comparata ad alcuni tra i traffici tradizionali delle mafie, ma vi sono tutte le ragioni per credere che negli anni sia cresciuta e che nel futuro si gonfierà ulteriormente. Nonostante la crescita di questi nuovi settori, il focus principale ‘ndrangheta rimane sulla propria vocazione storica, quella del contrabbando e dello spaccio di droga. Secondo la relazione semestrale della DIA, nei primi sei mesi del 2019 sono stati sequestrati 870 chili di droga, in fortissimo aumento rispetto ai 217 chili dell’intero 2018. Oltre al porto di Gioia Tauro, storicamente attraversato per ovvie ragioni dai traffici della ‘ndrangheta, vengono coinvolti porti in tutto il mondo, da quelli del Nord Europa, che rappresentano uno snodo fondamentale, a quelli del Sud America, per l’approvvigionamento della cocaina.

…e tradizione

A questa strategia tanto moderna e innovativa si accompagna una struttura organizzativa e gerarchica fortemente incentrata sulla tradizione. È tutt’ora fortissima la presenza di riti d’iniziazione e la simbolistica della ‘ndrangheta assume ancora oggi un ruolo fondamentale per gli associati, anche e soprattutto tra coloro che si sono stabiliti all’estero. Ne è un esempio il santino di San Michele Arcangelo trovato nella tasca di una delle vittime della tragica notte di Ferragosto 2007 a Duisburg (Germania). Nell’iconografia cattolica, San Michele è simbolo di giustizia e proprio in questo senso viene utilizzato dalla ‘ndrangheta, dal momento che, secondo la distorta visione degli affiliati, la ‘ndrangheta porterebbe giustizia. Considerato, quindi, dagli associati come protettore della ‘ndrangheta, il suo santino entra storicamente a far parte dei riti di iniziazione e di passaggio delle cosche. Si potrebbe quasi vedere una contrapposizione e verrebbe da chiedersi come una struttura, per così dire, “arcaica” possa sorreggere una strategia imprenditoriale tanto moderna. In realtà, questa contrapposizione non solo non esiste, ma anzi riti e tradizioni costituiscono le fondamenta solide su cui si poggia tutta l’organizzazione. La ‘ndrangheta infatti, ancor più di altre mafie, è caratterizzata da un fortissimo senso di identità e di appartenenza, non solo in Calabria, ma anche tra gli affiliati che si sono stabiliti all’estero da generazioni. Questa compattezza fa sì che il numero di pentiti nella ‘ndrangheta sia incredibilmente basso, complicando non poco il lavoro di forze dell’ordine e magistrati. 

Qualcosa si muove

Vorremmo chiudere con una nota di speranza: nonostante si sia rivelato, per le ragioni descritte sopra, incredibilmente complicato squarciare il velo di segretezza che avvolge la ‘ndrangheta e gettare luce sulla sua organizzazione, qualcosa comincia a muoversi. In particolare, mogli e figlie dei boss sempre più frequentemente decidono di collaborare con la giustizia, cercando di proteggere i propri figli e fratelli e di regalare loro la possibilità di un futuro di legalità. Alcune hanno pagato il loro coraggio con la vita. Molte di loro oggi vengono aiutate grazie al protocollo “Liberi di scegliere”, nato nel 2012 per iniziativa del Presidente del Tribunale dei minori di Reggio Calabria, Roberto Di Bella, volto ad allontanare i giovani dai boss e fornire loro supporto, innanzitutto dal punto di vista educativo. Queste testimonianze accendono la speranza che si possa generare una crepa in questa organizzazione e vincere questa battaglia, per permettere alla Calabria e a tutte le regioni e i Paesi interessati di liberarsi da una morsa criminale che si stringe intorno all’economia e alla società.