Nel panorama giuridico italiano, la lotta contro la criminalità organizzata si svolge su diversi fronti. Tra questi, un ruolo cruciale è svolto dal controverso art. 41-bis della legge sull’ordinamento penitenziario. Questo articolo, introdotto nel 1992, rappresenta una misura drastica volta a contrastare l’influenza e la comunicazione di detenuti coinvolti in attività criminali di vasta portata.
L’art. 41-bis stabilisce un regime penitenziario particolarmente rigido, applicato ai detenuti considerati pericolosi per la sicurezza e l’ordine pubblico. Tale normativa impone restrizioni significative sulla vita quotidiana dei detenuti coinvolti in organizzazioni criminali, con l’obiettivo di limitare le loro attività illecite anche dietro le sbarre. Possiamo individuare alcuni esempi di queste restrizioni:
- Isolamento cellulare. I detenuti sono tenuti in isolamento cellulare per gran parte della giornata. Questa misura mira a limitare le interazioni sociali tra detenuti coinvolti in attività criminali organizzate, riducendo così le possibilità di pianificare o coordinare azioni illecite anche all’interno del carcere.
- Limitazioni alle relazioni esterne. Gli individui sottoposti al 41-bis subiscono limitazioni significative nelle relazioni esterne, comprese le visite di familiari e amici. Questo aspetto serve per interrompere i legami tra i detenuti e le reti criminali esterne, riducendo l’influenza che possono esercitare dall’interno del carcere.
- Controllo rigido delle comunicazioni. Le comunicazioni dei detenuti sono attentamente monitorate e controllate. Tutte le lettere sono prima visionate dal corpo di polizia penitenziaria. Possono essere limitate o vietate le comunicazioni telefoniche e la corrispondenza, al fine di prevenire la trasmissione di istruzioni o informazioni legate alle attività criminali.
- Sorveglianza costante. I detenuti sono soggetti ad un livello più elevato di sorveglianza con la presenza costante del personale di sicurezza.
Problematiche
L’implementazione di queste misure ha generato un dibattito costante sulla bilancia tra la necessità di contrastare la criminalità organizzata dietro le sbarre e la tutela dei diritti fondamentali dei detenuti. Tale regime è tuttora oggetto di numerose critiche, in particolare, in tema di diritti umani. L’isolamento prolungato, le limitazioni alle visite e alle comunicazioni, insieme alla sorveglianza costante, infatti, sollevano preoccupazioni in merito al trattamento umano e alla dignità dei detenuti, sanzionati, peraltro, da documenti internazionali come la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
Alcuni critici sostengono che le misure restrittive del 41-bis potrebbero avere un effetto afflittivo, in quanto l’isolamento prolungato potrebbe contribuire a un deterioramento della salute mentale dei detenuti, aumentando il rischio di ricorso a comportamenti violenti o destabilizzanti.
Un’ulteriore criticità riguarda senza dubbio il processo decisionale e la mancanza di una successiva revisione adeguata. Le decisioni che portano a sottoporre un detenuto al regime 41-bis, infatti, possono essere opinabili, poiché si basano su valutazioni circa la effettiva pericolosità del detenuto e sulla sua connessione ad organizzazioni criminali. Di conseguenza, tali decisioni devono essere prese con estrema attenzione per evitare errori giudiziari che possano portare ad ingiustizie e iniquità.
Ciò posto, la mancanza di un monitoraggio adeguato dei detenuti può portare a vicinanze pericolose tra gli stessi. Infatti, il rischio che possano continuare a tessere relazioni criminose è una preoccupazione rilevante all’interno del sistema penitenziario. A titolo esemplificativo, la convivenza tra individui coinvolti in attività criminali può favorire lo scambio di informazioni, la pianificazione di nuovi reati ed il consolidamento di reti criminali. Per mitigare questa minaccia sono necessarie misure di sicurezza efficaci, come appunto la separazione dei detenuti coinvolti in talune attività criminali, nonché la sorveglianza costante e programmi di reinserimento sociale che riducano il rischio di recidiva dopo il rilascio.
Di fondamentale importanza, comunque, è sottolineare il particolare legame tra il potere giudiziario e la politica nell’ambito di questo particolare istituto. Infatti, il bilanciamento tra i due poteri può essere complesso, poiché entrambi gli ambiti hanno ruoli distinti ma interconnessi nella società. È essenziale che il potere giudiziario operi in modo autonomo e libero da interferenze politiche per garantire la tutela dei diritti e della libertà dei cittadini. Allo stesso tempo, la politica ha il compito di emanare leggi coerenti ai principi costituzionali, compreso quello dell’indipendenza della magistratura. Un bilanciamento efficace tra questi due poteri è cruciale per il corretto funzionamento dello Stato di diritto e per preservare la fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni.
Proprio per queste ragioni, per azionare questo istituto così complesso e delicato è stato previsto l’obbligo di un decreto motivato del Ministro della Giustizia che sia redatto con estrema attenzione e che sia basato su circostanze concrete e dimostrabili che giustifichino tale misura eccezionale. Ciò che va valutato riguarda non già solo la gravità dei reati commessi e le eventuali circostanze aggravanti, ma anche il coinvolgimento del detenuto in organizzazioni criminali o il suo ruolo di spicco all’interno di reti illecite, nonché la valutazione di pericolosità sociale del detenuto e la persistenza dello stesso nel mantenere contatti con elementi appartenenti all’ambiente criminale. Inoltre, il regime di 41-bis dovrà essere soggetto a periodiche valutazioni in merito alla sua necessità e proporzionalità, sulla base dell’evoluzione delle condizioni del detenuto e delle informazioni aggiuntive disponibili.
La presenza di questa necessità porta dei dubbi circa il tema sollevato poc’anzi sulla necessità di un giusto bilanciamento tra potere giudiziario e potere politico. In particolare, concentriamoci su un preciso aspetto: la separazione dei poteri. Il potere giudiziario ha il compito di garantire l’applicazione delle leggi in modo imparziale e nel rispetto dei diritti fondamentali. Tuttavia, l’adozione del regime di 41-bis comporta un intervento diretto dell’autorità giudiziaria nella gestione delle condizioni di detenzione, che può essere interpretato come un’intrusione nel campo dell’amministrazione penitenziaria, tradizionalmente appannaggio del potere politico. Di conseguenza, è lapalissiano quanto sia importante che l’adozione del regime di 41-bis avvenga nel rispetto delle procedure legali e con il coinvolgimento delle autorità competenti, al fine di prevenire abusi o violazioni dei diritti fondamentali dei detenuti.
Caso Cospito
Passiamo ora all’analisi di un caso pratico, dal quale emergono chiaramente talune delle problematiche sopra esposte. Alfredo Cospito, nato a Pescara nel 1967, fu condannato nel 2014 ad una pena di 9 anni e 5 mesi per la gambizzazione di un dirigente di Ansaldo Nucleare, Roberto Adinolfi; nel 2023 venne inoltre condannato alla reclusione di 23 anni per un attentato contro la scuola carabinieri di Fossano.
Il caso divenne mediatico quando Cospito iniziò lo sciopero della fame nell’ottobre 2022, dopo essere stato posto al regime del 41-bis nel carcere di massima sicurezza di Bancali, in Sardegna. L’inasprimento della reclusione fu conseguenza dei messaggi che il detenuto scambiava con l’esterno, nei quali incitava alla lotta. Oltre ad avere assunto un’eco all’interno dei confini nazionali, la storia di Cospito si estese a livello internazionale quando l’Alto commissariato dell’ONU per i diritti umani chiese all’Italia di rispettare la dignità del condannato, gli standard internazionali circa il trattamento dei detenuti e gli artt. 7 e 10 del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, che prevedono, rispettivamente, il divieto di tortura o punizioni disumane e l’umanità di trattamento.
L’assidua protesta di Cospito ha portato all’attenzione dei media il dibattito intorno ai rilievi di possibile violazione dei diritti umani del cosiddetto regime duro, che, per quanto sia considerato da alcuni un mezzo necessario per la sicurezza (seguendo la filosofia de “il fine giustifica i mezzi” di Machiavelli), viene additato da altri come la degradazione di una persona già privata della propria libertà personale.
Le opinioni che si sono formate riguardo al caso Cospito sono sicuramente influenzate dalla percezione personale dello scopo del carcere e, conseguentemente, della sicurezza e dei mezzi con i quali essa vada assicurata. Tuttavia, questa vicenda getta luce sulla disperazione di un detenuto, la cui pericolosità per la società è innegabile, così come lo sono i suoi diritti in quanto essere umano.
Soluzioni E Conclusioni
Purtroppo, data l’intrinseca natura estrema del reato e della pena conseguente, ed il rischio tutelato, è difficile concepire un alleggerimento del regime 41 bis che non ne mini lo scopo. Tuttavia, si potrebbe pensare a forme alternative di alleggerimento, le quali, rendendo le giornate dei detenuti più attive, ne assicurino una migliore salute mentale e, quindi, condizione umana. Ad esempio, favorire l’attività intellettuale con la lettura di libri e la visione di film, o quella sportiva con la predisposizione di locali idonei allo sport, due provvedimenti che consentirebbero anche lo sviluppo dell’emotività.
In conclusione, seppur una soluzione al compromesso tra sicurezza e tutela dei diritti umani rappresentato dal 41 bis sia difficile da trovare, alcuni modi per alleviare la pena ai detenuti e riscattarli a un’adeguata condizione di vita sono plausibili e implementabili.
Chiara Banti e Benedetta Traversone