di Francesco Barcellona
La Belva è morta. Alle 3:37 del 7/11/2017, nel reparto detenuti dell’ospedale Maggiore di Parma, giungeva al termine la vita della Belva, Totò U’ Curtu, il Capo dei Capi. Sono tanti i soprannomi attribuiti a Totò Riina negli anni in cui la sua storia personale si intrecciava indissolubilmente con la parabola di Cosa Nostra. Dalla Strage di Viale Lazio alla Seconda Guerra di mafia ne ha fatta di strada il picciotto di Corleone. Ne ha fatta talmente tanta che la storia di Cosa Nostra, dal 1982 fino al 1993, e forse anche oltre, finiva per confondersi con la storia personale di Riina. Per più di un decennio, Riina non è stato un mafioso. Riina è stato la mafia. L’ascesa al potere – Riina nasce a Corleone il 16 novembre del 1930 da una famiglia di contadini. All’età di 13 anni perde il padre e il fratello, mentre cercano di estrarre della polvere da sparo da una bomba inesplosa. E’ l’incontro col compaesano Luciano Leggio a introdurlo nell’ambiente di Cosa Nostra. Insieme a lui Riina conquista la leadership del clan dei corleonesi tramite l’eliminazione, nel 1958, di Michele Navarra, medico e boss di Corleone. Nel 1969 Riina, successivamente all’arresto di Leggio, e dopo avere ricevuto una ordinanza di custodia precauzionale che avrebbe dovuto tenerlo lontano dalla Sicilia, inizia il suo lungo periodo di latitanza. In quello stesso anno mette in mostra la sua efferatezza da spietato killer, partecipando come esecutore materiale alla strage di Viale Lazio, che sancisce l’eliminazione di Michele Cavataio, boss dell’Acquasanta, colpevole di avere attuato una strategia finalizzata a minare la stabilità della Commissione (struttura al vertice della gerarchia di Cosa Nostra), per tentare così di espandere il proprio personale potere. Il commando che esegue la strage, composto, tra gli altri, da due corleonesi (Provenzano e, appunto, Riina) e due uomini di Bontate, svela le alleanze alla base del cosiddetto triumvirato, composto da Badalamenti, Bontate e Riina, che nel 1970 prende la leadership della Commissione con lo scopo di garantire un unitario coordinamento di Cosa Nostra. Il potere di Riina all’interno di Cosa Nostra cresce di giorno in giorno, grazie anche alla fitta rete di legami con la politica che la Belva, “ignorante come un pecoraio e furbo come un raffinato statista”, ha sapientemente saputo intessere. Il principale referente politico è Vito Ciancimino, i cui interessi Riina protegge orchestrando gli omicidi dei principali avversari politici. Tra gli altri Michele Reina nel 1979, Piersanti Mattarella nel 1980, Pio La Torre nel 1982. A fare da tramite con la corrente andreottiana è invece Salvo Lima, insieme ai cugini Ignazio e Nino Salvo. L’inizio degli anni Ottanta vede il potere di Cosa Nostra giungere al culmine. Nel 1982 il traffico di eroina controllato da Cosa Nostra giunge a coprire l’80% del mercato della zona nord-orientale degli Stati Uniti. La Belva si sente più potente che mai, e vuole tutto per sé. Dopo essere sopravvissuto a un complotto che avrebbe dovuto concludersi con la sua uccisione, sventato grazie alla soffiata di Michele Greco, insieme a quest’ultimo Riina esegue un vero e proprio Golpe. Orchestra prima l’assassinio di Bontate (grazie anche al tradimento del fratello di quest’ultimo), e poi quello del boss Salvatore Inzerillo (braccio destro di Bontate). Inizia così la Seconda Guerra di mafia, conclusasi nel giro di un paio d’anni (1981-82) con la spaventosa ecatombe di qualcosa come cinquecento-mille persone. E con l’insediamento di una nuova Commissione, composta soltanto da capi mandamento fedeli a Riina, e guidata dallo stesso Riina. Cosa Nostra, adesso, è Cosa Sua. La caduta – La crisi di Cosa Nostra ha le sue radici profonde nella stagione di straordinari risultati ottenuti dal pool antimafia composto dai magistrati Falcone, Borsellino, Di Lello, Guarnotta, guidato da Antonino Caponnetto. Grazie alle confessioni di Buscetta e poi di altri pentiti viene portata a termine l’istruttoria che conduce all’incriminazione di ben 707 presunti affiliati di Cosa Nostra. Affinché le gabbie non rimangano vuote in quello che poi sarà chiamato il maxiprocesso, inizia una vera e propria caccia all’uomo. Il 30 gennaio 1992 la Cassazione conferma gli ergastoli del Maxiprocesso e sancisce l’attendibilità delle dichiarazioni rese dal pentito Tommaso Buscetta. Riina decide quindi di lanciare un avvertimento ad Andreotti, reo di essersi https://acquista-antibiotici.com/ disinteressato alla vicenda. Il 12 marzo 1992, alla vigilia delle elezioni politiche, viene ucciso Lima, e, alcuni mesi dopo, è il turno di Ignazio Salvo. L’errore macroscopico commesso da Riina fu, tuttavia, un altro. Gli omicidi di Falcone e Borsellino: tali episodi hanno infatti dato inizio a una stagione di rinnovamento culturale non solo a Palermo, ma nell’intero paese, e dato un forte impulso alla reazione della società civile palermitana, fin qui la grande assente di questa storia. L’assenza di una qualsiasi ratio strategica in tali omicidi, e le modalità stragiste con i quali questi sono stati eseguiti, sono tali da far sospettare che Cosa Nostra sia stata soltanto esecutrice materiale, e che dietro ad essa si nascondessero mandanti occulti dei quali non ci è ancora, purtroppo, dato sapere. Nel 1992 Riina riceve una condanna all’ergastolo, e il 15 gennaio 1993 viene arrestato dalla squadra speciale dei Ros, che pone fine alla sua latitanza. Dopo l’arresto viene sottoposto al carcere duro,al 41-bis. Fino all’ultimo è stato riconosciuto come il Capo di Cosa Nostra. E fino all’ultimo, nessun pentimento (“neanche se campassi altri 3.000 anni in carcere”). Il dopo Riina – La sua morte porta via tanti segreti che, se rivelati, avrebbero potuto gettar luce su alcuni dei più grandi misteri della storia di questo paese, dall’agenda rossa di Borsellino alla presunta trattativa; e chiude una delle pagine più buie e nebulose della storia dell’Italia Repubblicana. Nonostante si sia chiuso un importante capitolo, tuttavia, la storia dell’organizzazione criminale siciliana è lontana dal poter dirsi conclusa: Cosa Nostra è viva e vegeta, capace di una “permanente e molto attiva opera di infiltrazione, in ogni settore dell’attività economica e finanziaria, che consenta il fruttuoso reinvestimento dei proventi illeciti, oltre che nei meccanismi di funzionamento della Pubblica Amministrazione, in particolare nell’ambito degli Enti Locali”, come si legge nell’ultima relazione annuale della Direzione Nazionale Antimafia. Insomma, La Belva è morta, ma la sua creatura vive, ed è nostro compito tenere alta la guardia per onorare e portare a termine il lavoro di chi ha dato la vita per liberarcene.